Intervista in occasione della Fiera del libro di Lima (2007)

“Sono i bambini la cosa più preziosa e più importante che abbiamo”

Nata nel 1953 a Cameri, in Piemonte – dove sono nati grandi scrittori italiani come Cesare Pavese o Primo Levi –, Anna Lavatelli è un’autrice affermata della letteratura infantile italiana contemporanea. Ha studiato filosofia a Milano, è stata insegnante di italiano nella scuola, collabora con riviste specializzate per bambini e ragazzi e ha fatto incontri e animazioni nelle scuole e nelle biblioteche. Ha vinto il premio Andersen-Baia delle Favole per inediti nel 1988 e ancora nel 2005 come scrittrice dell’anno, poi il premio Pier Paolo Vergerio nel 1998, il Premio Valtenesi nel 2003 e il Premio Omodei Zorini nel 2006. Tra le sue opere: Paola non è matta (1994), Tutti per una (1997), Chi ha incendiato la biblioteca? (2004), Bimbambel (2004), Voglioguerra e Cercopace (2007). Sposata con un peruviano, madre di due figlie e grande ammiratrice di Mario Vargas Llosa, questa stupenda scrittrice – che ama leggere le sue storie ai bambini e che da piccola sognava di diventare attrice – ci spiega nella seguente intervista com’è il mondo della letteratura infantile contemporanea e come far sì che i bambini e i ragazzi si avvicinino al bellissimo e sterminato mondo della lettura e si innamorino dei libri per sempre.
C’era una volta, nella bella Italia, una famosa scrittrice per bambini che amava leggere meravigliose storie ai più piccini. Un giorno andò a Lima, la grande capitale del Perù, per…
Signora Lavatelli: come avvenne il suo debutto nella letteratura per l’infanzia?

Cominciai con un racconto che inviai ad un concorso. Vinsi il primo premio. Non si trattava di denaro o di un viaggio alle Antille – eh eh eh – ma era la pubblicazione del libro, e da lì cominciai.

Questo in che anno successe?

Era il 1986. Era solo un inizio, ma mi fu utile perché più in là, quando arrivò in Italia il Battello a vapore e si fuse con una casa editrice italiana che si chiamava – e si chiama tutt’oggi – Piemme, e fondarono il Battello a vapore italiano, io potei fargli vedere il mio libretto e gli mandai il mio primo romanzo che è Paola non è matta. Così cominciai. Quello di promuovere i giovani autori è molto importante perché a volte gli editori non hanno interesse a pubblicare un autore che ancora non si è distinto in qualcosa, questo è il problema di fondo.

Cosa vuole insegnare ai bambini attraverso le sue opere?

Credo che la letteratura giovanile non debba insegnare niente, nel senso scolastico del termine, e nemmeno fare della morale. Una cosa che si può insegnare è la bellezza della letteratura stessa. Tutti gli autori contemporanei – ho conosciuto persone molto interessanti come Cristina Ramos (autrice argentina), Jorge Eslava, Marita Troiano, autori (peruviani) che qui si conoscono bene. Da parte mia ho letto racconti di Hernán Garrido Leca e Oscar Colchado –, tutti andiamo nella stessa direzione, cioè a che i bambini si appassionino ai racconti. Ciò che vogliamo insegnare è questo: la meraviglia della letteratura, e basta. Nient’altro.

E lei, come scrittrice: quali sono le sue letture preferite, di cosa si “nutre” per scrivere?

Uno scrittore si nutre tutti i giorni con letture di romanzi altrui. Non c’è al mondo uno scrittore che non sia anche un lettore. Anzi, di solito si legge più di quello che si scrive. La cosa più importante da sottolineare è che un autore che scrive per bambini non legge solamente libri per bambini. Certo, è importante che legga libri per bambini perché è importante essere aggiornati con ciò che c’è di nuovo nel mondo – per esempio, nel mio caso, non solo autori italiani ma autori di tutto il mondo. E se si sanno parlare altre lingue, meglio leggere in lingua originale.

Qual è il suo autore preferito?

Ci sono un paio di autori che sono i miei preferiti e sono stati importanti nella mia formazione come scrittrice. Uno scrittore italiano che si chiama Gianni Rodari (1920-1980) e che ha cambiato per sempre la letteratura italiana, nel senso che voleva insegnare ai bambini l’amore per le parole, raccontare storie che avessero come protagonisti dei bambini che nello sviluppo stesso della storia trovavano la soluzione di un problema o capivano dove aveva sbagliato. Questo è quello che ha fatto Rodari, oltre a risvegliare la fantasia e introdurre l’ironia nei racconti per bambini. L’altro è lo scrittore più malvagio del mondo (sorride) – che amo tantissimo –: Roald Dahl (Gran Bretagna, 1916-1990). È stato un genio, perché non ha avuto paura a mostrare come possono essere cattivi gli adulti. Di recente è uscito un film che non so se è passato anche qui, che è La fabbrica di cioccolato.

Certo.

È suo.

C’è chi pensa che la letteratura infantile non si altrettanto importante di quella per adulti.

Non sono assolutamente d’accordo. È la disinformazione su ciò che è la letteratura infantile o giovanile oggi nel mondo a far pensare che sia poco importante. Al contrario, per lo meno secondo me, credo che sia addirittura più importante, non solamente per il fatto che scrivere per bambini, ragazzi, è un compito di grande responsabilità – perché sono i bambini la cosa più preziosa e più importante che abbiamo. Coloro che si dedicano a questo attraverso la bellezza delle parole fanno un lavoro molto importante. E come per gli adulti c’è cattiva e buona letteratura, lo stesso vale per i bambini. In questo senso, siamo alla pari.

Cosa pensa di J.K. Rowling? Crede che avrebbe dovuto fare tanti libri di Harry Potter?

Forse no. Non mi piacciono molto le serie, devo essere sincera. I libri basati su questo canone alla fine un po’ mi annoiano, perché arriva un momento in cui il cliché si ripete. Non è che non mi piaccia Harry Potter, anzi lo trovo una buona idea letteraria, un romanzo che ha recuperato alcuni degli elementi più importanti della letteratura giovanile a partire – per esempio – dalla figura dell’orfano, che è così importante in tutta la letteratura dell’Ottocento, soprattutto in Inghilterra. E la magia. E un bambino che solo contro tutti, senza genitori, affronti questa lotta così importante come quella del bene contro il male. Questi sono temi tipici della letteratura in generale e ancor di più della letteratura giovanile: questa è una cosa buona. L’errore, secondo me, è stato allungare così tanto la storia. Un buon racconto, una buona storia, bisogna raccontarli una volta sola.

Quanto fu importante lo scrittore per ragazzi Gianni Rodari, che pubblicò i suoi primi due libri per bambini nel 1950, Il libro delle filastrocche, e, nel 1951, Le avventure di Cipollino?

Ha veramente cambiato il modo di intendere la letteratura per ragazzi – in Italia, per lo meno e credo anche nel mondo, perché lui è stato uno degli autori italiani più tradotti all’estero –. Una volta sono andata a una mostra in Italia sui libri di Gianni Rodari tradotti all’estero: c’era Russia, Cina, Giappone, Stati Uniti, … tutto il mondo insomma. Quello che più conta è che ha dato alla letteratura il primo impulso di cambiamento radicale dopo Carlo Collodi. Sono sicura che dopo Carlo Collodi non abbiamo avuto un autore capace di dare una nuova direzione alla letteratura giovanile, prima di Rodari. Per esempio, occupandosi di temi che adesso sono molto di moda e che sono un po’ troppo sfruttati dalla letteratura giovanile, come la pace, l’amicizia, l’ingiustizia sociale. Ma lui l’ha fatto per primo, raccontando tutto attraverso la lente dell’ironia, con storie che facevano ridere i bambini, che mostravano l’assurdo di alcune situazioni attraverso vicende divertenti e senza mettergli il finale: “Allora abbiamo imparato che…” Il bambino cominciava a riflettere su questi temi divertendosi. Questo è anche ciò che di buono aveva, a suo tempo, Collodi. Lui l’aveva capito…

L’autore di Pinocchio, vero?

Sì, l’autore di Pinocchio. Quanto più il tema è delicato, forte, tanto meglio l’umorismo riesce a proporlo con forza. Perché l’umorismo è il contrario della “morale della favola”.

Si considera un’erede di Gianni Rodari?

Sì, anche se non si possono mai rifare le stesse cose. Però sarebbe impossibile oggi cominciare a scrivere libri per bambini senza tener conto della lezione di Rodari o di Roald Dahl. Grazie a questi due importanti autori – anche se ce ne sono altri che hanno segnato tappe importanti, per esempio Christine Nöstlinger, austriaca, o Anne Fine, inglese (autrice del romanzo Mrs. Doubtfire, da cui fu tratto il famoso film con Robin Williams) –, tutti e due, Roald Dahl e Rodari hanno fatto sì che la letteratura giovanile raggiungesse la maturità. In questo senso ormai non si può dire che sia poco importante.

Nel suo libro Chi ha incendiato la biblioteca? Ha lavorato con il famoso illustratore Cecco Mariniello: quanto sono importanti le illustrazioni nei libri per bambini?

Sono molto importanti. Quelle di maggior impatto si vedono nei libri per bambini piccoli. In questi libri mi azzarderei a dire che le illustrazioni – parlo di libri per bambini di tre, quattro, cinque, sei, sette anni – sono più importanti delle parole. Le parole devono essere poche, molto ben calibrate ma poche, e le illustrazioni devono prevalere. Invece quando i bambini sono più grandi la parola diventa più importante. L’illustrazione, innanzi tutto, deve essere di buona qualità, perché le illustrazioni per bambini non devono essere carine, devono essere meravigliose. Di ottima qualità e fatte da illustratori che siano anche artisti. Questo prima di tutto e sempre, anche quando il libro è pensato per ragazzi più grandi. Inoltre gli illustratori devono cercare – per questo ci vogliono degli artisti – non di narrare quello che si trova all’interno del racconto, ma piuttosto di andare oltre ciò che viene raccontato. Mostrare ciò che lo scrittore non ha scritto, più o meno ampiamente. L’illustrazione deve essere come una narrazione che segue il racconto, però senza ripeterlo. Qui si riconosce l’artista di qualità. E non è facile.

Adesso che è venuta in Perù, come ha visto la realtà della letteratura infantile peruviana?

Ho un’idea più chiara. Il viaggio è stato molto utile. A parte il fatto di essere felice per l’invito, naturalmente, è stata un’occasione per conoscere gli autori, soprattutto quelli peruviani. In Italia si conoscono meglio gli scrittori argentini perché sono stati tradotti di più. Qui ho conosciuto Jorge Eslava, Marita Troyano, Garrido Leca y Oscar Colchado: mi sembra che siano ben inseriti nel mondo della letteratura giovanile contemporanea. Cioè, sono innanzi tutto coscienti – ciò che più conta – di scrivere per bambini. Sanno che la cosa più importante è scrivere dei bei racconti, con una narrazione che sia accattivante e per nulla moraleggiante.

In Argentina c’era una rivista di letteratura infantile chiamata “Cuatrogatos”. Anche in Italia esistono riviste per bambini?

Conosco “Cuatrogatos”, perché ci sono varie riviste italiane che si occupano di letteratura infantile e giovanile, tra le quali la più imporante si chiama “Andersen” – il nome giusto, no, per una rivista che si occupa di letteratura per bambini? –, una rivista mensile. Tutti i mesi presentano riviste di tutto il mondo e una volta c’era un editoriale su “Quatrogatos”, così sono andata a vedere il sito web e ho scoperto un mondo molto interessante. Come servizi web e portali l’Argentina ha moltissimo. Persino molte delle informazione che ho avuto sulla letteratura peruviana, prima di venire, le ho avute attraverso i portali argentini. Per quanto riguarda l’Italia, invece, abbiamo varie riviste: “Pepe verde”, “Andersen”, “LG Argomenti”, “Pagine Giovani”ecc.”. Il meglio che abbiamo come critica letteraria è “Liber”, in cui si trovano tutti i dati relativi al mercato editoriale italiano e anche tutte le informazioni relative a festival, incontri in biblioteca e gli eventi più importanti.

In Europa ci sono fiere internazionali del libro per bambini, come quella di Bologna. Il mercato in Europa è così grande, c’è così tanta domanda?

Sì, è molto grande. Forse in Italia è meno vitale che nel resto d’Europa, a parte il Portogallo e la Grecia, perché – per esempio ­– da un bel po’ la Spagna ci ha superato. Però se facciamo il confronto con il Perù noi siamo più avanti, però non riusciamo ad aumentare la percentuale dei lettori. C’è un mercato ben assestato, questo sì, e molti nuovi investimenti nel settore: la prova è che negli ultimi dieci anni sono nate nuove case editrici. Si sa che una nuova casa editrice non si crea se non c’è guadagno. Questo è un buon segnale. Nel resto d’Europa le cose vanno anche meglio, il mercato è molto ricco, movimentato, interessante, e soprattutto ha delle entrate molto importanti.

Passando in rassegna i titoli per bambini, mi sono accorto che il tema della biblioteca è molto utilizzato dagli autori della letteratura infantile. María Fernanda Buhigas con Huelga en la biblioteca (1988) (Sciopero in biblioteca), Ambrosio Borsani con Duello in biblioteca Josteine Gaarder con Lilli de Libris e la biblioteca magica (2001), e lei, Anna Lavatelli con Chi ha incendiato la biblioteca?. Questi quattro sono solo alcuni esempi. Perché questa enfasi sul tema della biblioteca con i bambini?

Perché l’idea di fondo è fargli scoprire la magia della biblioteca, e un racconto è la miglior maniera per dirgli che è un posto realmente magico, pieno di storie bellissime. La stessa biblioteca può essere un luogo magico in sé. È l’amore per i libri che fa sì che molti autori scrivano sui bibliotecari e sulle biblioteche. Inizialmente potrebbe sembra un tema che si esaurisce molto rapidamente. No, non è così. Pensa che in Italia avevamo una collana – dove ho pubblicato Chi ha incendiato la biblioteca? – dove la biblioteca era l’argomento obbligato, cosicché l’autore doveva scrivere qualcosa che avesse come protagonista la biblioteca. Uscirono parecchi libri e la collana ebbe successo. Cosicché a volte succede questo: ci sono biblioteche che cercano di lanciare l’amore per la lettura, l’amore per il libro, e pensano che un buon punto di partenza possa essere un libro che presenti il tema della biblioteca in narrazione, in forma divertente, allegra, come un racconto qualsiasi. Perché quello per loro è un buon punto di partenza per far amare i libri, cioè preparare dei programmi in biblioteca perché i bambini imparino a conoscerla attraverso i libri, e da lì tornino ancora in biblioteca, che è ciò che si vuole.

Qualcuno dei libri di Anna Lavatelli è già diventato lettura obbligatoria nelle scuole?

Per fortuna no, eh eh eh…

Eh, eh…

Per fortuna no, ripeto. Perché una delle cose che ho sempre sperato che non succedesse era proprio questo, che qualcuno dei miei racconti diventasse qualcosa di obbligatorio da leggere. E, peggio ancora, che ci fossero alla fine delle domande come compito.

“Che cosa hai capito del racconto?”

“Che cosa vuole insegnarti l’autore?” Per favore no, questo no. Quello che succede è che nelle scuole dove c’è una biblioteca i miei libri entrano, però a volte chiacchiero con gli insegnati, le maestre nelle biblioteche, nelle scuole e dico loro: “Non è possibile che nella formazione del piacere di leggere un libro solamente possa incontrare il favore di tutti i bambini. È impossibile. Perciò non scegliete mai un libro unico”. Se devo insegnargli la lingua, di sicuro ho bisogno di un libro unico perché con questo gli insegno la grammatica e tutto quello che serve per parlare bene una lingua. È imprescindibile. Però se voglio trasmettere l’amore per la lettura, allora devo agire diversamente. Bisogna fare una piccola biblioteca nella scuola o nella classe, presentargli libri di autori differenti, o miei libri con titoli diversi, cosicché ognuno possa scegliere il suo. È quello che fanno tutti i lettori. Un lettore adulto che ama la lettura si crea la propria biblioteca. Questo è un tema molto importante. E vedo che le persone che ci lavorano lo hanno capito molto bene. Bisogna separare le due cose: una cosa è insegnare la lingua, altro è far nascere l’amore per la lettura. E l’amore non si può far nascere con un libro solo, obbligando a leggere qualcosa, o peggio ancora obbligando a fare dei compiti. Deve essere una libera scelta. Deve iniziare dall’adulto che legga qualcosa ad alta voce. Gli adulti, i genitori, i maestri, i professori, devono mostrarsi amanti della lettura, perché è così che funziona. Se invece facciamo leggere un racconto per forza e obblighiamo i bambini a dare risposte, alla fine, quando il bambino esce dalla scuola non vuole più leggere perché il ricordo della lettura per lui equivale al pensiero di compiti, lavoro.

Di valutazione.

Di valutazione, esatto. Dobbiamo fare il contrario, lasciargli un buon ricordo della lettura.

Con quale opera letteraria per bambini dovrebbero cominciare i genitori ad attrarre i bambini al mondo della lettura?

È una domanda difficile perché prima di tutto bisognerebbe abituare i genitori ad andare nelle biblioteche, a portare i bambini nelle biblioteche, nelle librerie, e non fare l’errore che fanno molti, cioè leggere ai propri figli i libri i loro libri d’infanzia, perché il mondo cambia. Anche il modo di raccontare sta cambiando e il libro che io leggevo a 9-10 anni adesso è un libro che può essere interessante per giovani di 12-13 anni perché – per esempio, (il Nobel della Letteratura del 1907, Ruyard) Kipling o (lo scozzese Robert Louis) Stevenson – sono autori che noi leggevamo da bambini, però adesso lo leggono i giovani perché la narrazione è fatta con un linguaggio antico, e prima di arrivare ad essi bisogna fare delle tappe. Quindi sarebbe bello se i genitori e i professori si interessassero di quello che offre la letteratura infantile di oggi, che leggano e scelgano quello che viene pubblicato ora.

Quale delle opere di Anna Lavatelli ha avuto maggior successo tra i bambini?

L’opera che fino ad oggi ha venduto di più e ha avuto anche successo nel senso che è stato molto apprezzata dalla critica s’intitola Tutti per una e l’altra che sta avendo lo stesso apprezzamento – è uscita da poco, cosicché non ha ancora avuto fino ad ora un successo così grande in termini di vendite però l’ha ottenuto a livello di critica – è Bimbambel. È un racconto per bambini piccoli in cui un papà racconta storie della buonanotte. Ho pensato a un papà, perché normalmente sono le mamme a raccontare le storie. Bisogna cambiare questa idea che solo la mamma può, anche il papà può. Il mio protagonista racconta storie meravigliose a suo figlio, e sono le avventure del suo lavoro. È un papà che viaggia molto in giro per il mondo, torna a casa e gli racconta quello che fa, però non gli racconta la realtà, gli racconta cose fantasiose e trasforma la sua vita professionale in quella di un eroe meraviglioso che fa cosa incredibilmente coraggiose e belle, perché così pensiamo (e vogliamo) che siano i nostri genitori: eroi, persone speciali.

Che età hanno i suoi principali lettori?

La maggioranza dagli 8 agli 11 anni. Per questa parte di giovani ho scritto la maggioranza dei miei racconti.

Quale dei suoi libri le sta più a cuore?

Tutti i libri sono come dei figli, difficile scegliere il più amato. A volte i bambini mi fanno la stessa domanda e gli dico: è come se avessi 10 figli e mi chiedessero chi tra di essi è il mio… Naturalmente tutti. Però ce n’è uno che mi sembra più importante, Faccia di Maiale, che tratta il tema di ciò che è la letteratura giovanile: un bambino fa una birichinata e da solo si accorge di aver fatto una cosa sbagliata. Però cerca di risolvere la cosa da solo, senza l’aiuto degli adulti e con un po’ di magia. O meglio, lui crede che sia di mezzo la magia. In realtà è il puro svilupparsi delle cose. Solo che il bambino confonde quello che succede per caso con qualcosa di magico. E questo mi è venuto molto bene (sorride).

Che bello. Molte grazie per l’intervista. Speriamo che nei prossimi anni venga ancora, perché continui insegnando quello che conosce, tutta la sua carriera nel mondo della letteratura infantile, agli autori peruviani.

Certo. La mia più grande speranza adesso è riuscire ad avere un libro tradotto in spagnolo. Spero che succeda, così potrei incontrare i bambini e leggere loro le mie storie.

Molte grazie.

A lei.

Gianmarco Farfán Cerdán


Appunti per il convegno sulla letteratura giovanile tenutosi nell’Istituto Magistrale Contessa Tornelli Bellini di Novara nel corso della manifestazione ‘Settimana del libro’ 2002.

Relatrici Anna Lavatelli – Anna Vivarelli

A- ascoltare i bambini

La letteratura per bambini e ragazzi, lo abbiamo visto, è un universo praticamente infinito. dai classici alle novità che vengono pubblicate a ritmi vertiginosi. Ma chi sceglie cosa pubblicare o cosa ripubblicare? Gli adulti. Chi sceglie cosa acquistare? Quasi sempre insegnanti o genitori, dunque adulti. Chi sceglie i testi della lettura vicariale, in classe o a casa? Adulti e ancora adulti. E naturalmente sono gli adulti a scrivere per i bambini. Ovvietà queste. E necessità. Ma forse sarebbe meglio riflettere un pochino sul fatto, ovvio appunto, che nel campo della letteratura per bambini i bambini sono gli ultimi anelli di una catena. Certo, si potrebbe obiettare che lo scrittore per bambini mentre scrive “pensa” ai bambini, e lo stesso fanno editori, distributori, librai, insegnanti, bibliotecari eccetera. Ma non è proprio così. Esistono delle gabbie, visibili o invisibili, entro cui spesso operano gli addetti ai lavori, autori compresi. Queste gabbie sono costituite, a mio parere, da idee preconcette che ruotano più o meno tutte su un unico grande dogma: il libro come oggetto di educazione, come veicolo di valori. E questi valori, ovviamente, sono valori ADULTI. Molta strada è stata fatta, e ne abbiamo già parlato. Il bambino ormai è, o dovrebbe essere, SOGGETTO e non più OGGETTO. Ma siamo sicuri di aver raggiunto il vero traguardo, che è appunto quello di ASCOLTARE I BAMBINI? Butto lì qualche piccolo seme di provocazione: la più grande fiera internazionale della letteratura per ragazzi in Italia, non prevede i bambini, e per certi versi non prevede nemmeno gli autori per bambini. Non voglio sconfinare nella pedagogia e nella sociologia: non è il mio lavoro. Ma come persona che “si occupa” di bambini, so che i bambini, per molti versi, sono un mondo a parte. E poiché il loro è un mondo da cui sono destinati ad uscire presto,  troppo spesso si pensa ai bambini come esseri “provvisori”, “non ancora adulti”.
Ho spesso l’impressione che i libri vengano scritti, pubblicati, promossi, scelti, acquistati, in funzione di ciò che i bambini saranno, o più precisamente, di quello che NOI ADULTI, genitori, insegnanti eccetera,  vorremmo che diventassero.
Gli autori, secondo una fantastica usanza apertasi con Rodari, sono spesso nelle scuole: anch’io incontro centinaia di bambini.  A volte ho la tentazione di chiedere agli insegnanti: LASCIATECI SOLI. Avete dato i miei libri ai bambini, e vi ringrazio. Ma li avete interrogati, avete messo in bocca a loro domande e interrogativi che sono più vostri. Volete che questo nostro incontro sia “proficuo”, sia un momento culturale e didattico. Ma io scrivo storie, non insegno. Io voglio chiacchierare di cose leggere, non necessariamente sciocche, ma che si trovano solo in quell’iperspazio che sta fra lettore e pagina. I personaggi, gli avvenimenti, gli inizi e i finali, cose tra me e i bambini, cose tra autore e lettore.
E i maestri? Siamo in una scuola, e in fin dei conti sono i maestri che mi hanno invitato. Non li si può escludere da questa festa, che poi non è proprio una festa ma una vera battaglia: IO SOLA CONTRO TUTTI LORO. Vorrei ancora dire ai maestri: non siete obbligati a difendermi, lo so fare da sola. Non è necessario che si parli per alzata di mano, con ordine, uno per volta. Io non sono un momento culturale, sono una che inventa storie e basta. E i maestri, di nuovo? Che ne facciamo? Li facciamo partecipare alla battaglia? Certo, se accettano alcune regole: SONO VIETATE DOMANDE TROPPO FURBE CHE RICHIEDONO RISPOSTE NOIOSISSIME, per intendersi quelle che contengono parole come: contenuto, messaggio, imparare. SONO ALTRESI’ VIETATE DOMANDE INVENTATE DAI MAESTRI e scritte sui foglietti dei bambini. Io le riconosco sempre. I maestri sono ammessi, in ultima analisi, solo se accettano di far parte dei lettori, se diventano lettori anch’essi.
I bambini hanno un sacco di cose da chiedere, se solo li si lascia parlare. Magari faranno confusione, parleranno a cinque per volta, diranno cose apparentemente poco “intelligenti”. E se li lasciassimo parlare lo stesso?
Anna L.
Sono in linea di massima d’accordo e quindi non aggiungerò altro sull’importanza dell’ascolto di ciò che hanno da dirci i bambini.
Ma ho fatto moltissimi incontri nella mia vita, e voglio dire due o tre cose che ho imparato sul campo..
Gli insegnanti sono utili agli incontri se sanno far bene due cose:
- motivare alla lettura (quindi crederci loro per primi, condividere questo piacere, con entusiasmo, con passione)
- progettare il percorso che porterà all’incontro con l’autore
- coordinare gli incontri  (Prendere contatti con l’autore, trovare un luogo idoneo per l’incontro, sistemare in modo confortevole i bambini che assistono....)
Penso che il gruppo classe sia un insieme troppo eterogeneo per lasciarlo da solo in questi incontri. Non vanno messe in bocca domande ai bambini - questo è evidente -  ma non sono neanche favorevole allo spontaneismo totale. Alla fine nessuno ascolta nessuno e ognuno ascolta solo se stesso. Quindi secondo me una buona regia (non una manipolazione) giova alla conduzione dell’incontro.
Diverso sarebbe se i bambini non appartenessero a un gruppo classe, ma fossero convenuti volontariamente all’incontro. Voglio dire: la motivazione personale fa la differenza e nel gruppo classe non è detto che tutti siano interessati a conoscere un autore. E non li biasimo: evidentemente non sono ancora a quel dato punto del loro cammino di lettori. Ma la discrezionalità non è prevista dentro il gruppo classe (per ora): ecco perché l’insegnante può mediare all’interno delle dinamiche di una classe e migliorare la qualità di un incontro, che non avrà una ricaduta uguale su tutti. Anche di questo l’insegnante deve essere consapevole. Così come l’autore. Non ci deve essere l’attesa di un miracolo. Dopo l’incontro, tutti a leggere come pazzi. Ma piuttosto la certezza di aver compiuto un altro passo. Più corto, più lungo. Ma comunque un passo.

B - biblioteche

A partire dagli anni 80  il profilo delle biblioteche è andato cambiando, soprattutto nel settore della letteratura per bambini. La trasformazione consiste in questo: dalla custodia del libro ai progetti per la diffusione della lettura.
Nascono due  nuove parole: ludoteca e animazione alla lettura. Il modello è preso in prestito da esperienze nordeuropee, dove le attività di animazione alla lettura sono una realtà già consolidata.
Ci sono dei nomi che hanno fatto la storia dell’animazione per l’infanzia in Italia, tra le quali vanno ricordate due figure di ‘pionieri’: Bruno Munari con i laboratori d’arte e Mario Lodi con i laboratori di scrittura. Il più importante contributo di  Gianni Rodari, da questo punto di vista, è di tipo teorico, con la famosa ‘Grammatica della fantasia’. Egli è inoltre uno dei primi scrittori per ragazzi ad essere chiamato agli ‘incontri con l’autore’ nelle biblioteche.
Tra le prime città a muoversi verso progetti di animazione, ci sono la biblioteca comunale di Baggio a  Milano (  Renata Gostoli ), Modena (le biblioteche civiche con Eros Miari e Vera Sighinolfi), Imola (Casa Piani).
L’idea è: creare eventi intorno ai libro, coinvolgendo animatori, scrittori, illustratori, editori, compagnie teatrali, in progetti preferibilmente articolati e continuativi. Protagonista di queste esperienze - laboratori, spettacoli, incontri con l’autore, sessioni di lettura vicariale (vedi alla voce L) - sono i bambini che aderiscono liberamente alle attività in biblioteca.
Nella zona di Novara oggi, troviamo attive:

  • Biblioteca Negroni, sezione ragazzi, Novara

  • Biblioteca Marazza, sezione ragazzi, Borgomanero (sede Premio ‘Cercasi storia di Natale’, Interlinea)

  • Biblioteca Villa Majoni, sezione ragazzi, Verbania

  • Biblioteca civica di Galliate, Galliate (sede del progetto ‘Sguardi bambini’ e ‘Avventure di carta’)

  • ùBiblioteca dei Ragazzi “G.Cordone”, Vigevano

C - classici

Che cos’è un classico? Secondo Italo Calvino è un libro che si rilegge sempre volentieri, una provocazione utile a liberarci da ogni pregiudizio critico.
E questo perché nessuno pensi che noi pensiamo che tutti i ‘classici’ siano sempre necessariamente migliori di tutti i ‘moderni’ (ma non pensiamo neanche viceversa...).
Con ciò speriamo di aver sgombrato il campo dagli equivoci e di poter parlare di ‘classici’ della letteratura infantile senza che qualcuno ci accusi della sindrome di Cicerone (ovvero ‘laudatio temporis acti’).
La letteratura infantile ha avuto nell’‘800 i suoi primi scrittori consapevoli, cioè persone che sapevano di scrivere per bambini.
E’ importante dirlo perché alcuni scrivevano (prima e dopo) per adulti e ora sono famosi come scrittori per ragazzi. E’ il caso di  Defoe (ancora nel ‘700) con il suo Robinson Crusoe, e (nell’800) di  Stevenson con ‘L’isola del tesoro’, di Kipling con i romanzi della giungla, di Dickens con le sue denunce sociali, di London con le storie del wild nord e Verne con i  romanzi di fantascienza. Opere destinate ad un pubblico adulto e poi piegate, anche con pesanti riduzioni - ‘ad usum delphini’.
Ma dunque chi erano gli scrittori ‘classici’ convinti di scrivere per bambini?
Lewis Carroll, per esempio.
Di Mark Twain non sono sicura... Ma c’è nei suoi libri campeggia il ‘bad boy’, caratteristico della letteratura infantile nordamericana.
E Oscar Wilde (quando scriveva per bambini, scriveva per bambini).
E Andersen, che ha cambiato per sempre il contenuto delle fiabe (‘ha scoperto le nuove sorgenti dell’immaginario’, dice di lui Gianni Rodari).
E in Italia Collodi e de Amicis. (Collodi per sbarcare il lunario, de Amicis perché si sentiva investito da un dovere educativo e sociale).  E poi Vamba (il giornalino di Gianburrasca).
Dimentico qualcuno?
Ma quando un autore diventa “classico”? Ovvero: il classico è tale solo dopo un certo lasso di tempo? Oppure: diventa classico perché entra in qualche modo nell’immaginario collettivo, perché i protagonisti dei suoi romanzi o racconti escono dalle pagine per assumere in qualche modo una vita propria? Pinocchio, Tom Sawyer, Long John Silver, per citarne solo alcuni, sono in grado di “vivere” anche fuori dalle pagine di Collodi, Twain e Stevenson, così come è accaduto per i grandi personaggi della letteratura per adulti (Ulisse, Amleto, madame Bovary…)
Se accettiamo questa definizione di classico, allora possiamo ampliare l’elenco e includervi la Jo di Piccole Donne, Pippi Calzelunghe, Il barone rampante e perché no? andare a “cercare” i classici in romanzi di autori vicinissimi a noi, dal Grande Gigante Gentile di Roald Dahl (v. Dahl) fino a Harry Potter.
Sì, io l’accetterei questa definizione.
Classici, ha detto Italo Calvino, sono quei libri che si rileggono sempre volentieri.
E Michel Tournier, più spiritoso dice: classico vuol dire: letto nelle classi. Basta la parola!

D - Roald Dahl

Appunti a parte (qualche data, qualche titolo e riferimento al “politicamente scorretto” (i libri di Dahl accusati di eccessiva violenza). Dahl si riconnette alla tradizione “horror” della fiaba e del racconto fantastico. Geniale nell’intuire cosa piace ascoltare ai bambini.

E - editori

(accennare ad una breve lista dei principali editori per ragazzi, e al fatto che si afferma sempre di più una tendenza a dividere le pubblicazioni per Collane a tema, come se ci fosse l’esigenza di indirizzare e aiutare non solo i lettori, ma ovviamente, trattandosi di ragazzi e bambini, soprattutto genitori e insegnanti)
Se c’è tempo, aprire il discorso sui temi che seguono.
Pare che l’editoria italiana per ragazzi goda di buona salute. Da un rapporto di ricerca sull’editoria per ragazzi commissionata da un gruppo  al cui interno si ritrovano diversi soggetti (De Agostini, Rizzoli Rcs, Walt Disney, Associazione Italiana Editori e IDEST) risulta una crescita  consistente del mercato editoriale per ragazzi nel corso di tutti gli anni Novanta. Sono inoltre estremamente confortanti i dati sugli acquisti di libri da parte delle famiglie. Confortanti se paragonati ad un “prima” ma certo non entusiasmanti se si pensa che il 33,6% delle famiglie in cui ci sono ragazzi da 0 a 14 anni non ha acquistato alcun libro nei 12 mesi precedenti l’indagine che non fosse scolastico o parascolastico. Questo spiega forse perché l’editore (inteso come entità astratta e generica) è più attento, paradossalmente, al mondo degli insegnanti che a quello dei bambini.  Gli insegnanti vengono considerati dall’editore come interlocutori preziosissimi, perché nella maggior parte dei casi sono loro a indirizzare gli acquisti delle biblioteche scolastiche, a tenere i rapporti con i librai, a consigliare e scegliere i libri. Il fatto che un libro piaccia agli insegnanti (o si pensa possa piacere) è requisito fondamentale per la scelta editoriale. L’insegnante e la scuola nel suo complesso (biblioteche scolastiche, di sezione, di classe eccetera) hanno dunque un ruolo fondamentale: non solo devono "istruire” secondo i programmi ministeriali, ma possono e devono caricarsi del “peso” della lettura extrascolastica, quella di cui parliamo, appunto.

F - fiere e festival

La più importante in Italia è la Fiera Internazionale del Libro per Ragazzi, che si tiene a Bologna  in aprile. Vi partecipano espositori da tutto il mondo ed ospita una delle più importanti mostre di illustratori (vedi I - illustratori). In contemporanea si tengono convegni, conferenze ed eventi dedicati alla letteratura infantile. Fino a qualche anno fa, la fiera era aperta a tutti, oggi l’ingresso è riservato ai soli operatori. E’ qui che le case editrici si incontrano per acquistare e vendere titoli e collane.
Il Salone del  Libro di Torino, in maggio, ha uno spazio ragazzi in cui vengono programmati eventi dedicati ai più giovani, a cura delle case editrici che hanno pubblicazioni nel settore.
Lo stesso accade a Galassia Gutemberg, a Napoli, o a Cuneo Autori, anche se con un richiamo di pubblico e di presenze editoriali meno consistente.
Il festival letterario meglio organizzato è quello di Mantova (prima settimana di settembre). Dedicato agli scrittori per adulti, ha arricchito negli anni lo spazio dedicato ai giovani  ed è diventato un punto di riferimento per gli addetti ai lavori, pur essendo rivolto innanzitutto a ‘Sua Maestà il Lettore’.

G - genesi: le origini della letteratura infantile

(appunti)
La genesi della letteratura infantile può essere collocata nel ‘700 con la nascita della società moderna.
La riflessione sulle letture avviata dal protestantesimo viene divulgata nell’età dei lumi e inizia ad essere trattata anche come diritto alla lettura per i ragazzi. Ma la letteratura infantile  è veicolo per l’educazione, cioè all’interno di un progetto pedagogico. (l’Emile di Rousseau)
Si stampano racconti morali e racconti folklorici (fiabe)
I precedenti letterari sono:
‘Orbis pictus’ di Comenio (sussidio didattico per i bambini) per gli intenti educativi
Basile e Perrault per il folklore
Nel 1750  nasce a Londra la prima Juvenile Library

I - Illustratori

L’Illustrazione per bambini è un capitolo a parte: è un mondo quasi infinito, che tocca l’Italia ma anche paesi lontanissimi. Si parla di stili diversissimi, di scuole, di mode, di tempi.... Ci vorrebbe gente più esperta di noi, e forse un incontro specifico. 

I - ispirazione - invenzione - immaginazione   tre citazioni su cui riflettere....

(appunti)
Dice Paul Valery dell’ ispirazione:
“Non  è lo stato in cui si trova il poeta che scrive, ma quello in cui il poeta che scrive spera di mettere il lettore”.
Dice Jean Cocteau dell’invenzione:
“Io (come scrittore) sono una bugia che dice sempre la verità”
Ma l’invenzione è anche una verità etimologica: invenire, in latino, vuol dire trovare
Dice Italo Calvino dell’immaginazione:
“E’ un repertorio del potenziale , dell’ipotetico, di ciò che non è stato né forse sarà ma che avrebbe potuto essere”.
A questo punto,  possiamo dire tutto quello che ci pare...

J - JUNIOR

Qui a Novara si dice ‘ junior’ e si pensa ‘Interlinea’.
Interlinea  nasce 10 anni fa dalle esperienze editoriali del Centro Studi Novarese.
Si occupa di pubblicazioni di poesia del ‘900 e di critica letteraria, collaborando con l’università degli studi di  Pavia, la cattolica di Milano e la più recente università del Piemonte orientale di Vercelli. Occasionalmente pubblica opere di narrativa e poesia del novarese (‘Un matrimonio in provincia’ della marchesa Colombi, il testo più noto).
- in collaborazione con Omegna, la città di Gianni Rodari,  da vita ad una serie di convegni e pubblicazioni sul più grande scrittore italiano per ragazzi.
- in collaborazione con la biblioteca ‘Marazza’ di Borgomanero organizza il premio ‘Storia di Natale’, dedicato all’infanzia
- pubblica saltuariamente alcuni titoli per ragazzi nella collana ‘Gli aironi’
- nel 2001 Interlinea fa il ‘grande passo’ ed esce con la collana de ‘Le Rane’ di Interlinea junior con autori ed illustratori contemporanei  di fama nazionale come Ferdinando Albertazzi, Antongionata Ferrari, Anna Lavatelli, Lele  Luzzati, Cecco Mariniello, Roberto Piumini, Guido Quarzo, Anna Vivarelli e ripubblicazioni di testi  indimenticabili di Gianni Rodari, Elve Fortis de Hieronymis e Bruno Munari.

H  - Harry Potter (io ne parlerei bene, però....) Vediamo se c’è tempo!

L - lettura

Adesso va di moda quella vicariale. Che sarebbe poi quando un altro legge per te, ad alta voce. Con affetto, se sono dei genitori. Con calore di appassionato lettore, se sono degli insegnanti o dei bibliotecari.
A diffondere il metodo è stato Daniel Pennac, ma il sistema non l’ha inventato lui. Agli  imperatori romani non mancava un liberto addetto alla lettura. Del resto la parola ‘pubblicare’ viene da ‘leggere in pubblico’. In casa di Asinio Pollione venivano letti ad alta voce - per un pubblico scelto – gli esametri di Virgilio. I monaci e le monache dei  conventi avevano il lettore nel refettorio e dal Novellino sappiamo che anche il crudele Ezzelino da Romano si teneva a fianco un suo novellatore. Per tacere di giullari, bardi e trovadori  che prosperavano nei vari castelli feudali.  Diciamo che quello che era un privilegio sta cercando di proporsi adesso come diritto per tutti.
Un’indagine Doxa - Piemme del ‘97  ha rivelato quello che si poteva capire anche senza spendere soldi per organizzarla: i cosiddetti ‘forti lettori’ hanno avuto tutti una  persona amica (papà, mamma, sorella/fratello, zia/o,  nonna/o...) che gli leggeva le storie da piccoli. Un lettore vicariale, insomma, per dirla col termine in voga. O, se preferite l’immagine horror di Antonio Faeti ‘un untore della peste-libro’...
Perdere tempo con una storia, insieme. Questo ha a che fare con l’affettività, con l’accettazione reciproca,  con la socialità e la condivisione (vedi N - narrare).
Diceva Bichsel che su di un’isola deserta non si sarebbe portato neanche un libro. ‘Con chi potrei scambiare le mie emozioni?’ argomentava.

M - morale o messaggio

la letteratura giovanile contemporanea si è affrancata dalle catene dell’educazione ai cosiddetti ‘insegnamenti pedadogici’ (vedi alla voce R -  Rodari) e si preoccupa piuttosto di raccontare delle buone  storie.
(se c’è tempo, leggerei un passo breve da ‘I quasi adatti’ di Peter Hoeg, sul concetto di morale visto dai bambini e dagli educatori)
Ma allora, se non si narra più per insegnare qualcosa, a che cosa servono le storie? Qualcosa diremo alla  lettera U (utilità), dal punto di vista del lettore.  Per il momento vediamo il punto di vista di chi scrive. Noi due, per esempio.

N - narrare, ovvero perché ci piace raccontare storie.

Io:  mi piace raccontare perché mi piace raccontare. Lo so che suona tautologico e poco chiarificatore, ma è così che mi succede. Vediamo se Anna Vivarelli condivide.
In secondo luogo narrare è per me soddisfare un bisogno di socializzare, e questo ha a che vedere con il carattere transitivo della letteratura. Mi spiego: autore e lettore condividono un mondo immaginario (il mondo del ‘come se’, della finzione, delle ipotesi) senza cui non si da narrazione.
L’immedesimazione dell’autore nella storia che scrive rimanda all’immedesimazione del lettore nella storia che legge. A me intriga questa rete di relazioni che la narrazione riesce a generare, con me stessa, con i bambini, con il mondo. Forse il fascino maggiore dello scrivere (e del leggere) sta proprio nel pensarsi dentro ad una relazione comunicativa, dentro un gioco condiviso dell’ immaginazione (facciamo finta che...).
Da questo punto di vista la letteratura per l’infanzia non è diversa da quella adulta. Voglio dire: che un romanzo sia finzione, è chiaro per i bambini come per gli adulti, e per gli uni come per gli altri ciò non impedisce il processo di immedesimazione nella storia che si narra. (vedi T - tecnica della scrittura)

P -  Politicamente corretto

Alla lettera P, accenniamo al politically correct, che imperversa in ogni campo, dalla letteratura al cinema. Io non ho affatto capito di che si tratti. Forse perché scrivo libri per bambini e non faccio l’editore. Parlando con Anna, abbiamo discusso spesso su questo tema, perché nei rapporti con gli editori, esso ci ha toccate spesso personalmente. Per quel che ho potuto capire,  il “politicamente corretto” va molto di moda. Nel nostro specifico può consistere talvolta nel depurare ed epurare i testi per bambini da riferimenti a prodotti dannosi (il fumo, l’alcool e le droghe) a meno che questi stessi prodotti non siano presentati appunto come dannosi. Inoltre, recentemente, ho parlato con un altro scrittore, che ha subito critiche perché ha scritto un giallo per ragazzi ambientato in una scuola e gli insegnanti venivano “maltrattati” dall’autore. Un altro scrittore italiano ha visto eliminare dal catalogo un suo testo perché l’amicizia fra due ragazzi (maschi) poteva far pensare ad un’omosessualità latente. Io stessa ho discusso con una insegnante perché in un testo per bambini di sei-otto anni, ho usato espressioni come “ti ammazzerei”, considerate eccessivamente violente. Non entro nel merito della questione: mi limito ad esporla. Il polically correct è probabilmente una questione che rientra in un ambito soggettivo: ogni tentativo di generalizzarla porta con sé il rischio di una censura. Lasciamo quindi aperta la discussione.
Vanno sottolineati però alcuni aspetti “storici”, per così dire:

  1. Le favole della tradizione non si possono affatto definire “politically correct”. Sono piene di invidie, morti, avvelenamenti, sfruttamenti femminili, tradimenti e azioni orripilanti. Pensiamo ai genitori di Pollicino che abbandonano i figli nel bosco e li riaccolgono in casa solo perché tornano pieni di ricchezze. Le favole della tradizione (quelle trasposte da Perrault, Grimm, Andersen eccetera) non sempre hanno come finale un momento catartico o liberatorio: spesso cioè dipingono l’orrore e non danno al lettore (o ascoltatore) la soddisfazione di veder punito il cattivo. Pensiamo alla piccola fiammiferaia.

  2. I libri di Dahl, per citare un autore moderno che è universalmente amato dai bambini, non sono policaticamente corretti. Gli adulti di Dahl sono perlopiù tremendi, soprattutto i parenti prossimi. Ma questa “scorrettezza” la ritroviamo anche in Eva Ibbottson, altro autore amatissimo dai bambini (e da me).

R - Rodari Gianni

In Italia, il conflitto tra fantasia ed educazione era cominciato con  il Pinocchio di Collodi.
Fino al secondo dopoguerra la letteratura giovanile in Italia (salve pochissime eccezioni) è solo un riflesso della cultura dominante
quindi FANTASIA = EVASIONE PURA E SEMPLICE
          EDUCAZIONE = IDEOLOGIA
E’ Rodari a rompere la dicotomia, indicando la strada della fantasia educativa o della educazione fantastica   dove la fantasia è DIVERGENZA CREATIVA e l’educazione ARRICCHIMENTO DELLE CAPACITA’ CRITICHE del lettore
A Rodari non interessa la formazione di un bambino come individuo, gli interessa la sua formazione come persona sociale, come cittadino.  I valori tradizionali di ‘bene’ e di ‘male’ (relativi alla sfera della coscienza, del  privato) sono sostituiti con i valori di ‘giusto’ e ‘ingiusto’, relativi alla sfera della vita sociale e politica.
Ma Rodari non commette l’errore di scrivere una didattica dell’educazione civica. Usa l’arma dell’ironia, del paradosso, del capovolgimento fantastico per stimolare la capacità di pensare in proprio (vedi ‘Il giovane gambero’ di ‘Favole al telefono’).
Al bambino si forniscono - attraverso l’uso della divergenza creativa - gli strumenti per interpretare le cose che succedono intorno a lui e  - forse ancora più importante per Rodari - la capacità di immaginare in modo divergente, cioè di vedere quello che ancora non c’è, di progettare il cambiamento. Il bambino è SOGGETTO dell’educazione, non più OGGETTO, non più ‘vaso da riempire’.

S -  Scegliere i libri

Tutto si ricollega: dal bambino Soggetto, alla Scelta dei libri. Per tutto ciò che abbiamo detto, la scelta dei libri dovrebbe essere un riappropriarsi, da parte del bambino, della sua autonomia di lettore. Utopia? Forse. Ma non è questa la tendenza ad esempio di alcuni premi letterari per ragazzi che sono affidati a giurie composte da bambini e non solo da “esperti del ramo”?

T - Tecnica della scrittura

Questo è un tema fondamentale, che richiederebbe un discorso a sé. Qui mi ricollego invece al tema già accennato della Narrazione. E mi spiego. Uno scrittore scrive per assolvere, come si è detto, ad una specie di bisogno impellente, intriso di una certa dose di presunzione: scrive cioè per comunicare ciò che ha da dire e crede, ovviamente, che ciò che ha da dire possa interessare a qualcun altro, vale a dire ad un ipotetico lettore. Non si scrive per se stessi (se non la lista per la spesa e forse il proprio diario). Chi scrive esige, nell’atto stesso della scrittura, qualcuno che legge. Abbiamo parlato di invenzione, immaginazione, ispirazione, tutti ingredienti indispensabili, anche se gli scrittori tendono a volte a farne una mistica.  Ma la scrittura (ogni scrittore lo sa bene) è anche TECNICA. Lo scrittore narra in modo COSTRUITO. L’abilità della scrittura consiste (sto provocando) nel far passare la costruzione per flusso dettato dall’ispirazione, nascondendo il più possibile la tecnica.
(Lavatelli) Ma paradossalmente la tecnica può diventare fonte di maggior creatività, nel senso che spesso proprio quando ci si sforza di dare una forma narrativa alle immagini mentali si riescono a tirar fuori (invenire) idee che altrimenti non sarebbero mai state pensate. E’ mentre si scrive, mentre si fanno i conti con la costruzione di una storia, che si presentano – quasi da sole – le pagine migliori che scriviamo. Quanto più cerchiamo di nascondere la tecnica a vantaggio dell’affabulazione, tanto più essa ci viene in aiuto, migliorando la qualità della nostra scrittura, costringendola a riempirla di umanità (non nel senso dei sentimenti, è ovvio, nel senso di cose che hanno a che vedere con l’uomo e la sua vita qui sulla terra). Dunque la tecnica non è nemica della cosiddetta ‘ispirazione’, così come non gli è nemica il racconto su commissione o quello encomiastico, basterebbe pensare ad illustri esempi del passato (Virgilio e Ariosto, per esempio). C’è bisogno di ordine, per generare le storie, anche se poi il racconto  (quello ben riuscito) procede ad occultarlo, e simula la realtà pur decidendo cosa osservare e cosa no, cosa ritagliare nel flusso continuo della vita e perché e quando ritagliare proprio quella sezione di realtà.
E d’altronde, si è parlato di libri come di creatori di mondi possibili. Ma il possibile è caotico, è un magma informe più di quanto non lo sia il reale. La scrittura,costruendo storie, personaggi, ambienti, paesaggi, mette in ordine questo magma e lo trasforma in libro. Ovviamente, i modi per ordinare il possibile sono tanti quanti sono gli scrittori. Il discorso potrebbe qui svilupparsi all’infinito. Ciò che qui mi sembra importante chiarire è che a partire da questi spunti la lettura può anche, in ambiente scolastico, provare a snidare ed evidenziare i meccanismi della scrittura.
Personaggio principale, antagonisti, intreccio, sviluppo, efficacia (o meno) del finale, etc... I tanto vituperati apparati didattici fanno appunto questo, ma nella maggior parte dei casi tendono ad ammazzare con metodi dolorosissimi il libro stesso. Ci sono modi indolori per analizzare un libro? Per evidenziarne appunto la tecnica di scrittura? Si può fare, insieme ai bambini, una “critica letteraria”?

U - utilità (della lettura)

A cosa serve leggere? La risposta è: a niente. E non mettetevi a ridere, perché  mica l’ha detto uno qualunque. L’ha scritto Beniamino Placido su Repubblica (25.02.’96): ‘La lettura...non fa ricrescere i capelli . Non fa diventare né più alti né più belli. Non fa aumentare lo stipendio.’.  Un libro aiuta a passare il tempo - insiste il famoso critico -  a vivere un po’ di più, un po’ meglio.
E Pennac  in un suo libro anche troppo famoso (Come un romanzo, Feltrinelli) va giù più duro:  le storie servono a perdere  tempo, come quando si fa all’amore.  S’è mai sentito qualcuno dire: ‘L’amore? Non ho tempo!’ Lo stesso accade per chi scopre il piacere della lettura.
(Anna V.) Non sono gli unici. Harold Bloom, considerato uno dei maggiori critici letterari contemporanei, nel suo testo-culto dal titolo Il Canone Occidentale scrive: “Leggere i sommi scrittori - diciamo Omero, Dante, Shakespeare, Tolstoj - non farà certo di noi uomini migliori. L’arte è del tutto inutile, stando al sublime Oscar Wilde, che aveva pienamente ragione”. E aggiunge qualcosa di estremamente provocatorio: “Se leggiamo il Canone Occidentale (cioè gli autori considerati i maggiori di ogni paese e di ogni tempo, nota mia) per plasmare i nostri valori morali, sociali, politici o personali, credo proprio che diverremo mostri di egoismo e sfruttamento. Leggere al servizio di qualsivoglia ideologia, a mio parere significa non leggere affatto”. Ciò che Harold Bloom vuol dire è qualcosa di semplice e al tempo stesso non così ovvio: si legge per se stessi. Se si legge per migliorarsi, o nel caso dei bambini, li si fa leggere per renderli “persone migliori”, secondo modelli precostituiti,  non si legge realmente. Si fa un’altra cosa.  Allora perché si legge? Ancora Bloom:  “In realtà si legge per imparare a parlare con noi stessi e a sopportare noi stessi. Leggere in profondità (i grandi autori) non farà di te una persona migliore o peggiore, un cittadino più utile o più dannoso. Il dialogo della mente  con se stessa non è una realtà sociale. (la lettura) aiuta a conseguire un adeguato uso della propria solitudine, quella solitudine la cui forma conclusiva è il proprio confronto con la morte”. Stare con se stessi e dialogare con se stessi: questo è l’obiettivo della lettura, un obiettivo solitario, che sembra avvitarsi su se stesso. In realtà, poiché leggere ci mette in rapporto con altri che condividono gli stessi libri e gli stessi autori, possiamo attraverso la lettura stabilire contatti con altre menti e con quella dell’autore in primo luogo. Ma di nuovo, ciò non ha nulla di sociale o di ideologico.
(Lavatelli) Dunque i libri sono una piacevole perdita di tempo, anche se poi - paradossalmente - aiutano a ritrovarlo e il vecchio Proust ne ha sottolineato anche l’aspetto curativo nel suo saggio ‘Sur la lecture’, spiegando come - a differenza della conversazione, che svanisce - la lettura abbia il potere di penetrare nella psiche del lettore.
Dilatare la nostra esperienza della vita, nel tempo e nello spazio, dentro e fuori di noi, questa sembra essere la capacità più straordinaria della lettura.  E il romanzo, conferma Javier Marìas nell’epilogo di ‘Domani nella battaglia pensa a me’ , “non soltanto racconta, ma ci permette di assistere a una storia o ad alcuni eventi o a un pensiero, e nell’assistervi ci permette di comprendere”.
Questo gli scrittori (e i critici della letteratura adulta). E gli scrittori per bambini, che ne pensano? 
Ulf Stark (‘Leggendo Leggendo’, novembre 1996) conferma che la magia del libro ‘consiste nell’essere in grado di creare una realtà illusoria nella quale si possono rielaborare e trattare temi ... in forma immaginaria, vivere esperienze impossibili da vivere altrimenti’.
Anche Rodari (Introduzione alle ‘Fiabe’ di Andersen, Einaudi ed.)- dice: ‘Le fiabe servono alla formazione della mente, di una mente aperta in tutte le direzioni del possibile. Toccano nel bambino la molla dell’immaginazione: una molla essenziale alla formazione di un uomo completo.’.
(Vivarelli) Umberto Eco sembra confermare questa idea quando scrive, in ‘Sei Passeggiate nei Boschi Narrativi’: “ Ogni finzione narrativa è necessariamente, fatalmente rapida, perché  - mentre costruisce un mondo, coi suoi eventi e i suoi personaggi - di questo mondo non può dire tutto. Accenna, e per il resto chiede al lettore di collaborare colmando una serie di spazi vuoti”.  Leggere significa anche colmare questi spazi. Visto che Anna ha parlato di Proust, è proprio Proust, uno che impiega sessanta pagine a descrivere un’aiuola, ad elogiare al tempo stesso Flaubert che liquida il protagonista dell’Educazione Sentimentale con un grande spazio bianco. Infatti, dopo aver impiegato decine di pagine a descrivere minuziosamente ogni piccolissima azione del protagonista, conclude il romanzo così: “Viaggiò. Conobbe la malinconia dei piroscafi, i freddi risvegli sotto una tenda, l’incanto dei paesaggi e delle rovine, l’amarezza delle simpatie troncate.” Anni e anni in poche righe, questo può fare un autore. Chiedendo al lettore una collaborazione che lo mette in gioco completamente.
 


DOVE SI NASCONDONO LE STORIE
 
Intervento per il lancio del Concorso Nazionale F.A.I. riservato alle scuole
L’arte e la natura in prima pagina
anno scolastico 2002/03
sponsor Corepla e Corriere della Sera

Il più delle volte sono le storie che vanno a cercare lo scrittore.  Arrivano di soppiatto, con la prudenza dei gatti randagi, e si fanno conoscere un poco alla volta. Oppure gli si parano davanti all'improvviso, come un cane sbucato fuori da un cancello, e pretendono subito tutta la sua attenzione.
Ma in qualche caso è lo scrittore che va in giro a cercare le storie, scovandole dentro i loro nascondigli. E dove si rintanano le storie? mi chiederete voi. Dovunque, con la sola condizione che vi abbiano vissuto degli uomini. Senza gli uomini, non ci sarebbero storie nascoste da raccontare.
Questo, a pensarci bene, può essere una complicazione. Infatti, se è vero che dovunque ci sono storie, da dove si comincia a cercare? Credo che  il punto di partenza migliore sia sempre
"casa nostra" ( il paese o la città in cui viviamo,  il territorio intorno a noi), perché è lì che viviamo le nostre esperienze, reali ed immaginarie, insieme alle persone a cui vogliamo bene. Sono più sincere, le invenzioni, quando si racconta a partire da qualcosa di vissuto e di condiviso.
Ma ecco che si presenta subito un altro dubbio: ci sono luoghi (e quindi nascondigli di storie) che sono migliori di altri? E come fare per riconoscerli? La risposta  è:  dipende da cosa si cerca. A me , per esempio, che scrivo per bambini e per ragazzi,  interessano di più i luoghi  ricchi di "avventura" e di "fantastico". Palazzi, fortezze, chiese e teatri in cui il tempo si è depositato in strati di storie, dove nel corso dei secoli  centinaia e centinaia di  persone  hanno lasciato una traccia  del proprio "esserci" sulla scena della vita.
Immaginate di essere in visita a una reggia, Stupinigi o Caserta, fate voi. All'improvviso vi viene la curiosità di guardar fuori, e vi affacciate a una finestra.  E pensate: ognuna delle persone che si è affacciata a guardare questo panorama -  in epoche diverse - avrà avuto dentro di sé una gioia, una preoccupazione, un desiderio. Sarà una dama che sfoga la sua pena d
=amore, la domestica che rimpiange il paese lontano, il cortigiano che prepara un intrigo, l'artista che spera d'esser gradito al principe, il turista che sono io e che s'inventa tutte queste cose...  È così che lo scrittore fa rivivere le storie nascoste, con la forza dell'immaginazione e (naturalmente) con un piccolo impegno di ricerca.
L'impresa assomiglia al viaggio di un esploratore dentro un territorio solo in parte conosciuto: non si sa quello che si trova e bisogna star pronti alle sorprese. Ma, a differenza dell'esploratore, lo scrittore non corre pericolo di morte. Al massimo si perde tra i documenti che va consultando.
Per darvi un'idea di questo tipo di viaggi, proverò a raccontare i retroscena di una storia: posso ben farlo, perché l'ho scritta io. Quasi dieci anni fa, nel 1993, il  teatro ‘Coccia’ della mia Novara  riapriva i battenti dopo un lungo periodo di restauri. A me sembrò una buona idea interessare i bambini e i ragazzi della città alle vicende di quell'antico edificio, di cui mi aveva parlato tanto anche mio padre, amante della lirica. Così mi misi alla ricerca  di una storia nascosta, cercando tra le pieghe degli oltre duecento anni di vita del teatro, perché - come ho già detto  - è sempre dalla realtà che bisogna cominciare a inventarsi qualcosa.
Scoprii così che il "Coccia", inaugurato nel 1779, aveva subito vari rifacimenti ed ampliamenti già nel corso dell'800. Che Carlo Coccia, da cui prese il nome  nel 1873,  era  maestro di cappella del Duomo di Novara e compositore di opere liriche, noto anche al grande Giuseppe Verdi. Che tra i più attivi mecenati del teatro novarese ci furono due protagonisti del bel mondo cittadino: il conte Marco Caccia di Romentino e il marchese Luigi Tornielli.  Due famiglie, quelle dei Caccia e dei  Tornielli, che hanno contato a lungo nelle storia passata della mia città, e di cui è rimasto il ricordo nei palazzi, nelle vie del vecchio centro, nei documenti d'archivio.
Ma nella lunga vita del "Coccia" c'erano altri fatti memorabili:  la leggendaria esecuzione di Arturo Toscanini nel 1888, i successi del soprano Toti Dal Monte e del tenore Ferruccio Tagliavini,  i concerti del maestro novarese Guido Cantelli. E la più recente notizia che ad inaugurare il teatro sarebbe stato l
=allora Presidente della Repubblica,  il novarese Oscar Luigi Scalfaro.
Infine, c'era il mondo dietro le quinte, quello che non ha mai l'onore delle pagine dei giornali, ma che è vitale per la riuscita di uno spettacolo: costumisti, professori d'orchestra, coristi, ballerini, scenografi, truccatori, trovarobe... E il pubblico, naturalmente, tutto il pubblico che in duecento anni si era avvicendato dentro la nostra "piccola Scala" novarese. Novecentrotrentasei posti a sedere, che moltiplicati per gli anni di vita del teatro facevano un'infinità di persone con altrettanti pensieri, vicende, emozioni.
Ricordate quel che dicevo prima sulla finestra di Stupinigi (o di Caserta) e sui pericoli dello scrittore-esploratore? Ebbene sì, stavo quasi  per perdermi, dentro tutte queste storie. Ma poi, per fortuna,  mi sono venuti in aiuto i fantasmi.
Ho pensato infatti che era quello il modo per far rivivere nel presente la storia  del teatro, con tutti i suoi protagonisti. Ritornati al "Coccia" sotto forma di spiriti, i protagonisti del passato decidono di mettere in scena  un'opera: il "Guido da Biandrate", che vogliono rappresentare la sera precedente all'apertura ufficiale. Hanno però bisogno della collaborazione dei vivi e la troveranno in una ragazzina sveglia e per niente paurosa, che nell'opera interpreta Guido, il giovane figlio del conte Alberto di Biandrate, una parte per cui non è richiesto di saper cantare.
Attraverso il personaggio di Andrea - che partecipa di nascosto alle prove,  vola sulla città con il marchese Tornielli e trova  un pubblico adatto ad  uno spettacolo di fantasmi (quale possa essere, indovinatelo voi) - sono stata in grado di far rivivere il passato nel presente e di raccontare, in modo più accattivante, i fatti e i protagonisti di un piccolo teatro di provincia.
Provate anche voi ad essere più curiosi. Quando passate accanto ad un palazzo antico, quando guardate i piccioni volare in cima ad una vecchia torre, quando appoggiate la bicicletta al muro di una chiesetta di periferia, chiedetevi: che storie ci sono, là dentro? E se provassi a raccontarle io?
Vi assicuro che c'è da divertirsi.

Anna Lavatelli

nota: il libro cui si fa riferimento è: Fantasmi al teatro Coccia, Interlinea edizioni, Novara 1993.

Qualche consiglio di scrittura per cimentarvi nel concorso.

1) Vicino è bello.
Scegliete  un edificio o un ambiente della vostra zona, Prima di tutto ce l'avete a portata di mano per guardarvelo e studiarvelo quanto vi pare. E sarà più facile anche la ricerca di informazioni.

2) Tutto fa brodo.
Quando raccogliete dati e informazioni, non dite mai: "Questo è inutile". Segnatevi tutto, anche i dati che vi sembrano meno importanti: non si sa mai.

3) Questo lo faccio dopo (forse).
Eh, no! Fate le cose con ordine. Prima raccogliete tutto il materiale, poi cominciate a costruire la vostra storia.

4) Pronto? Chi sei?
Pensate a chi leggerà la vostra storia. Questo vi aiuterà a scegliere il tema del racconto e il linguaggio da utilizzare.

5) Aiuto, mi sono perso...
Succede, se si comincia a scrivere prima di avere tutta la storia in testa. Anzi, meglio stendere una traccia per punti essenziali.

6) Ma quanto parli!
A differenza dei  chiacchieroni, le storie più parlano, più sono interessanti. Quindi lasciatevi andare alle descrizioni, alle riflessioni,  ai dialoghi, ai dettagli curiosi, a  tutto quello che può allungare la storia senza renderla noiosa.
 


Filo diretto con i miei lettori

Cara signora Anna Lavatelli, stiamo facendo un’intervista per il nostro giornale, l’argomento è la lettura e abbiamo scelto lei come soggetto per rispondere ad alcune domande. E’ pronta? Bene, allora ci dica: quale è il libro più bello che ha scritto?

Non so se c'è un libro più bello, questa è una domanda che giro ai miei lettori. Chi scrive giudica 'belli' tutti i suoi libri, nel senso che per ciascuno trova qualche bellezza 'speciale', un po' come succede a una mamma con i suoi figli. Naturalmente però c'è il 'più coccolato', che è quello... appena venuto al mondo. Per me, adesso, è 'Ossi di dinosauro' (Battello a vapore).

Quale è il libro più bello che ha letto ultimamente?

Se parliamo di libri per ragazzi, il titolo è 'Al di là del mare', di Osvaldo Soriano, che è la storia un po' magica di un ragazzo argentino, emigrato a Parigi con la sua famiglia, per motivi politici. Il ricordo e il desiderio della patria lontana gli verranno insegnati dal suo amico gatto. Se invece parliamo di libri per adulti, il titolo è 'Sostiene Pereira' di Antonio Tabucchi, la storia di un anziano giornalista che ritrova la volontà di opporsi all'ingiustizia dopo che la polizia politica ha crudelmente ucciso un suo giovane collaboratore.

Quale è il libro le è piaciuto di meno?

A me non piacciono _ in generale _ i libri seriali, cioè quei libri che appartengono a una serie ripetitiva di storie. Li trovo noiosi e stupidi. E purtroppo ce ne sono tanti, in tutte le maggiori case editrici d'Italia! Un consiglio che vi do, anche se non c'è questa domanda nella vostra intervista, è di diffidare dei libri 'in serie'. Sono operazioni commerciali per vendere, non per offrire belle storie ai ragazzi.

Quando era piccola c'era qualcuno che leggeva per lei?

Il mio papà ha letto tanto per me. E spesso le storie me le ha anche cantate, accompagnandosi con la chitarra. Sono stati i momenti più belli della mia infanzia.

Si ricorda qualche libro della sua infanzia? Quali erano?

'Pinocchio', che però non ho mai letto, perché me lo leggeva e cantava il mio papà. Poi ricordo le 'Novelle meravigliose' dei fratelli Grimm, sulla cui copertina c'era un enorme drago volante, 'Capitani coraggiosi' di Kipling e 'I ragazzi della via Paal' di Molnar. Ma anche una 'Piccola principessa', di cui non so più chi fosse l'autore (ma che mi ha fatto tanto piangere!) e il divertentissimo 'Giornalino di Gianburrasca'.

Quale era il suo sogno da piccola?

Volevo fare la burattinaia. Forse, se fossi nata a Napoli, sarebbe stato più facile. Ma qui, nella pianura padana, è rimasto un sogno.

Come deve essere lo stile di un libro per piacerle?

Direi... naturale. Più ho l'impressione che l'autore sia stato lì a cercare il modo più difficile per esprimersi, più il libro mi sembra solo uno 'show' di bravura, e non mi attira più. La storia che si racconta è di gran lunga più importante delle parole che si usano per raccontarla (secondo me). E questo vale sia nei libri per bambini che nei libri per adulti (sempre secondo me...).

Quale è lo stile dei libri che le piace scrivere?

Mi sforzo di scrivere in modo naturale, il perché ve l'ho appena spiegato. In genere 'ascolto' la storia che devo raccontare: le storie nascono e crescono con un loro ritmo, dentro di noi. Riconoscere ed assecondare questo ritmo, ecco il mio stile, o meglio il mio obiettivo. Perché non lo so, se ci riesco sempre...

da ‘Amicolibro’ il ‘giornalibro’ della classe V
Istituto Suore Clarisse Francescane Giugliano in Campania, Napoli
anno scolastico 2000/2001
 


Divertirsi leggendo?

Quando scegliamo un libro per i nostri ragazzi dobbiamo operare con estrema oculatezza.
Credo che non si insista mai abbastanza sull'importanza della scelta di un buon libro.E' un aspetto fondamentale, che può sembrare a prima vista una verità lapalissiana, ma non è poi tale, visto che molto spesso si verificano difficoltà di gradimento della lettura che si propone.

Sicuramente la prima regola è scegliere un libro capace di stimolare la fantasia del bambino, capace di interessarlo e di proporgli dei contenuti che siano per lui importanti e condivisibili.
In breve un libro che il bambino stesso sceglierebbe per sè.

La seconda non è di carattere contenutistico: riguarda l'importanza della situazione in cui leggiamo, l'ambiente, la creazione dell'atmosfera adatta alla lettura, si tratta di un elemento importantissimo per la recezione di quello che si legge.

Sono fattori che possono apparire esterni alla scelta di un libro, ma sono invece elementi altamente significativi, per la riuscita del lavoro che ci proponiamo.
Bisogna dunque stare attenti a non scegliere un libro qualunque o un posto qualunque: se vogliamo caricare di significato le cose che facciamo, dobbiamo dare loro una specie di "alone di sacralità": la lettura deve apparire come una cerimonia, deve caricarsi di significati perchè possa diventare un momento importante della vita di in bambino.
Se la banalizziamo o se la riduciamo a un momento affrettato non serve: in questa situazione infatti, non trasmetteremo nulla al bambino.

Non solo parole

Bisognerebbe pensare all'animazione anche in una versione corporea, musicale, gestuale, non soltanto legata all'esperienza della parola, pensare a qualche attività che coinvolga fisicamente le persone.
E' un momento molto forte che lascia il segno, soprattutto nei ragazzini che hanno difficoltà espressive, per timidezza o per carenze di preparazione scolastica, e che invece hanno una grande abilità sul piano grafico e gestuale.
Se il ragazzo è brillante verbalmente può esprimersi con facilità con le parole: nell'animazione non dobbiamo dimenticare di dare un'opportunità anche a chi non ha ancora acquisito questa capacità e non è detto che l'acquisirà.
E' importante creare delle emozioni a 360 gradi, in modo da poter coinvolgere tutti quanti, perchè ognuno possa avere un momento in cui si senta veramente partecipe

dal " Testo della Conferenza" del 14 Settembre 1999 
Verbania
 


Rodari mon amour

Quando mi incontrano come autrice, spesso i bambini mi chiedono quale sia il mio modello di scrittore. Io rispondo subito: "Gianni Rodari" e con orgoglio aggiungo "che è nato nella mia stessa terra"
Poi spiego che avere Gianni Rodari come punto di riferimento non significa scrivere storie simili alle sue (che senso ha infatti la scrittura senza divergenza creativa? ) quanto piuttosto condividere e portare avanti il radicale capovolgimento di tendenza che egli ha saputo dare alla letteratura giovanile.

La centralità del bambino, la fertilità dei punti di vista alternativi, il ruolo della provocazione e dell'ironia, la valenza positiva del gioco e del riso, il dialogo continuo tra fantasia e realtà sono stati le linee di forza del pensiero rodariano e contemporaneamente il punto da cui si dipartono i nuovi sentieri lungo i quali viaggia la narrativa contemporanea per ragazzi.

Ai bambini lo spiego con parole più semplici, anzi con le parole stesse di Rodari, leggendo la storia della strada che non portava in nessun posto, dove Martino Testadura è in fondo lo stesso Rodari, il tesoro scoperto le regole della "grammatica della fantasia" e i delusi imitatori sono tutti i suoi sterili epigoni.Dico tutte queste cose nelle scuole e lo ripeto a voi adesso perchè anch'io come S. Paolo sono stata fulminata sulla strada di Damasco da un lampo di luce improvvisa.Non ho cambiato vita, o almeno non in quel senso, ma il modo di scrivere sì, e per sempre.

Correva l'anno 1978, ero fresca di studi universitari, cominciavo a fare qualche supplenza e - horribili dictu - non sapevo quasi niente di letteratura giovanile ( quel poco che mi valeva, erano i ricordi, da "Pinocchio" a "Capitani coraggiosi"). Però mi piaceva inventare storie e già mi ero cimentata in qualche timido tentativo. Ne erano venute fuori delle fiabe: credo che anche quel brav'uomo di Renzo Pezzani le avrebbe trovate un po' troppo dolciastre per il suo gusto.
Un giorno andai in libreria, decisa a confrontarmi con il mio tempo. Comprai vari testi, tra cui "Favole al telefono"E fu- se mi passate l'immagine un po' trita -
amore a prima vista.
Mi piacerebbe ora raccontarvi che feci un bel falò con quello che avevo scritto: è un'immagine ad effetto e rende bene l'idea che voglio esprimere. Ma ai tempi abitavo al terzo piano di un condominio, in pieno centro del paese e fui costretta a sublimarmi. Così buttai tutto nel cestino, un rito meno appariscente, ma ugualmente significativo, che mi dette una carica straordinaria.

Mi sarebbe piaciuto dirglielo un grazie a Gianni Rodari, per quella sua scossa fantastica ( a proposito lo sapete che anagrammando Rodari trovate "ardori"? )e io ardevo appunto dal desiderio di vederlo di persona. Avevo già mosso alcuni passi per venirlo a conoscere qui sul lago durante uno dei suoi soggiorni. Ma poco prima gli accadde lo stesso della signorina Filomena, che

Senza alcun sospetto
Nè preavviso
Si è trovata all'improvviso
in orbita
Nè più nè meno di un razzo.

Se da lassù mi guarda, con gli occhiali o senza, glielo voglio dire adesso un grazie al favoloso Gianni. E' a partire dai suoi libri che ho cominciato a scrivere qualcosa di buono. E un grazie va anche al suo lago incantevole e incantato che non si dimentica di lui.

Dagli Atti del Convegno su Rodari " Il barone e il ragioniere" 
Pettenasco (Novara) 30 Maggio 1998


"Luca e i suoi amici" ed Piemme

Libro di testo per l'insegnamento della lettura e per l'educazione linguistica nel 1° ciclo

Nel 1996 " Luca e i suoi amici" è nato con le caratteristiche di una proposta nuova, adatta a chi vuole fare scuola su serio e perseguire l'obiettivo di far amare ai bambini la lettura fin dal primo momento in cui la si propone loro.

Di" Luca e i suoi amici"sono piaciuti agli insegnanti alcuni elementi innovativi:

  • L'insistenza sulla lettura dell'insegnante ad alta voce come primo passo per creare l'interesse e il clima giusto nei confronti della lettura

  • la proposta di un percorso adattabile alle esigenze delle diverse classi e arricchibile a piacere e in base agli interessi dell'insegnante

  • lo sforzo di superare i limiti della classica antologia e quindi l'idea di lavorare su testi scritti appositamente da autori di libri per bambini, ma avviando all'apprezzamento del libro in sè, come oggetto di desiderio e di scoperta.

  • il tentativo di proporre un apprendimento attraverso il gioco, in particolare nelle pagine dedicate ad attività e verifiche

  • I disegni e l'impostazione grafica, gradevoli e soprattutto funzionali al coinvolgimento emotivo e intellettuale del bambino nello sforzo dell'apprendimento.

Nel 1997 " Luca e i suoi amici" viene di nuovo sottoposto all'attenzione degli insegnanti, arricchito di tutte le loro valutazioni.

In particolare:

  • E' stata resa più chiara la gradualità dei testi proposti e delle attività di approfondimento degli stessi

  • Tutte le pagine con testi sono state semplificate e rese utilizzabili dai bambini

  • E'stata introdotta una sezione antologica adatta alle capacità di lettura dei bambini, con una serie di stimoli per la comprensione e l'espressione personale dei bambini.

  • Il numero di testi da leggere e far leggere ai bambini è raddoppiato.

  • La grandezza delle parole da leggere è stata notevolmente aumentata, così come gli spazi dove i bambini devono scrivere

  • E' stato arricchito l'apparato iconografico: la sezione antologica, infatti, è illustrata da una serie di illustratori diversi.

Ora " Luca e i suoi amici" per il primo ciclo è un testo sempre innovativo nella sua concezione didattica, ma anche più facile da usare a ancora più coinvolgente per i bambini che lo useranno.
Ci si aspetta quindi che il libro piaccia ad un numero ancora maggiore di insegnanti e che siano loro a rivolgere altre osservazioni che lo miglioreranno sempre più.

da " Leggendo leggendo"
Maggio 1997


La letteratura per ragazzi vista dagli autori

Quando ha incominciato a scrivere letteratura per ragazzi ? Che cosa l'ha spinta a compiere il passo ?

I miei primi timidi tentativi ( molto ingenui, per la verità ) risalgono al 1979.
Non avevo la più vaga idea di che cosa fosse la letteratura infantile. Il mio era solo desiderio di raccontare delle storie. E di approfittare del magico potere della scrittura, grazie al quale si possono inventare mondi in cui le cose vanno a modo nostro.
Questo il principio.
Poi ho letto le favole di Gianni Rodari. Lì ho capito che cosa volesse dire scrivere per ragazzi: era una faccenda un bel po' più impegnativa di quanto mi fossi mai immaginata, ma molto più intrigante.

La letteratura per ragazzi può parlare di tutto o ci sono argomenti da escludere? 

Da escludere sarebbero, a mio parere, quei libri che non rispettano il diritto di un bambino ad essere tale, che introducono forzatamente una dimensione "adulta" dell'esistere, magari in nome dell'anticonformismo e della cosiddetta modernità.
Sto pensando ad argomenti come la violenza, la sessualità, la morte, la follia...Il problema non è se affrontarli o meno, ma saperlo fare rimanendo " dalla parte del bambino ".

Quali sono le difficoltà principali incontrate nel suo lavoro?

La difficoltà maggiore consiste per me nella scelta del ritmo narrativo.Cerco di pensare al tipo di lettore a cui mi sto rivolgendo, al genere di storia che ho in mente di raccontare, all'ambiente in cui si svolge. E' un po' come stare ad ascoltare le prime note di una musica per capire se si deve ballare la samba oppure un valzer.
Tutto il resto è frutto di riflessione, di mestiere anche, e quindi prima o poi trova una sua naturale soluzione.

Come vede il futuro della letteratura infantile in Italia?

Soprattutto qui da noi, in Italia, la letteratura per ragazzi è ancora considerata di serie B.Questo mi induce a ben sperare per il futuro. Indietro non si torna, giusto ? Quindi dovremo per forza progredire.
Scherzi a parte, oggi come non mai, scuole, biblioteche e centri culturali si interessano attivamente della lettura tra i giovani. Le case editrici puntano alla qualità. Gli scrittori si internazionalizzano. E i ragazzi leggono : con intelligenza, con entusiasmo, con piacere. 

Ha partecipato a " Incontri con l'autore" organizzati da scuole e biblioteche?
Che cosa ne pensa?

Ho partecipato sovente ai cosiddetti " Incontri con l'autore ". E' un momento molto importante, uno scambio intenso e reciproco di emozioni e di idee. Per i ragazzi è un'esperienza " forte ", che li invoglia a leggere di più. Per l'autore è, nello stesso tempo, un'occasione di verifica del proprio lavoro e un'iniezione di energia. In genere ne usciamo tutti - ragazzi e adulti - stravolti e sovreccitati, come se la nostra squadra avesse vinto una partita importante.

Intervista curata da M.Bastanzetti
da " Leggendo leggendo " Maggio '94


Cari genitori

Anna Lavatelli, che raggiungiamo telefonicamente nella sua casa di Cameri, è felice e soddisfatta di poter parlare un po' del suo libro " Paola non è matta", del premio Castello che ha vinto e soprattutto dei ragazzi che, con i loro problemi e le loro gioie, le riempiono la vita di madre, insegnante e scrittrice.
"Finora avevo scritto sempre storie umoristiche e avventurose, " Paola non è matta" è il mio primo libro psicologico".
Arrivato tra i cinque finalisti della prima edizione de" Il battello a vapore", "Paola non è matta" è una storia che in poco più di cento pagine racconta un brutto momento della vita di Paola, bambina sensibile quanto introversa, figlia di separati che vive con una mamma sempre troppo indaffarata per occuparsi delle sue sofferenze.Una sorta di "istantanea letteraria" che va dalla morte dell'adorato nonno di Paola fino alla sua breve fuga da casa.

Quanto di Anna Lavatelli bambina e di Anna Lavatelli mamma troviamo nel libro?

" Tutte e due. Scrivere questo libro è stato difficile perchè mi ha costretta ad una revisione personale. Ci sono molti aspetti delle mie reazioni infantili, anche se non legati alla vicenda. Delle microesperienze soprattutto di solitudine. Non ho sofferto per mancanza di affetto, ma per isolamento.Il mio paese,Cameri, era una "morte" quando ero bambina, negli anni'60.
D'inverno c'era la scuola, ma d'estate vivevo in un incubo.
Mi ritrovavo sola in un paese semiabbandonato nel quale, a parte leggere,non sapevo cosa fare.
D'altro canto nel libro ci sono anche le mie disattenzioni di mamma. La madre di Paola è sclerotica nelle sue carenze.Io no! Per fortuna! Però ho dilatato alcuni miei aspetti negativi."

Quanto le è servita l'osservazione dei suoi alunni nella scuola media"Don Gnocchi" di Turbigo (Milano)?

"Da una parte mi è servita molto per trovare un linguaggio credibile:sentirli parlare mi ha permesso di costruire dialoghi efficaci.Un libro per ragazzi deve avere una credibilità linguistica.E poi la classe offre continuamente materiale: confessioni ch
ragazzi riescono a fare, temi, situazioni di difficoltà scolastica, incontri con i genitori....."
Ma Paola ha un volto ?
"No,Paola riassume un po' tutti i casi di bambini con genitori divorziati, alcuni con problemi altri no, che ho incontrato a scuola."

Come è nato il libro?

"Dal classico sogno nel cassetto. Quattro o cinque anni fa avevo letto sulle pagine milanesi del "Corriere della Sera" un trafiletto dal titolo Quel fantasma di nonno Salvatore: secondo un bambino il fantasma del nonno cercava di rimettere insieme i genitori separati attraverso scherzi soprannaturali. Da quell'episodio volevo trarre una storia comica, ma quando anni dopo ho cominciato a lavorarci mi sono accorta che avevo davanti agli occhi troppe storie di ragazzi con genitori separati e non potevo scherzare con un problema così serio."

L'incomunicabilità fra Paola e i genitori sembra dovuta non a differenze generazionali, ma alla mancanza di tempo...

"E' proprio così. E' questa la novità della nostra società. L'incomunicabilità non è più 
generata dal salto generazionale, ma dalla mancanza di tempo e di volontà di stare vicino ai figli. Questo a scuola si nota molto. In classe proprio lunedì scorso, abbiamo parlato di quel ragazzino di Villafranca che si è suicidato. Da un caso così tragico ogni ragazzo ha provato a raccontare le proprie esperienze personali: solitudine, incomprensioni, paura di sbagliare, di deludere le aspettative dei genitori...."

Lei scrive nel libro: "Paola si sente come la mamma la sta vedendo: uno zero perfetto"

"Esatto. Quando poi ho chiesto a chi confidano le proprie angosce e tristezze. è emersa la figura dei nonni.Come mai? Perchè i nonni non ridono, non minimizzano, non giudicano, non prendono sul serio...insomma hanno tempo per ascoltare."

Il libro allora si rivolge anche ai...
"...ai genitori! E' questa la mia ambizione più grande: che lo leggano anche i genitori e che...si diano una regolata.
Gli adulti, specie genitori e insegnanti devono tornate ad ascoltare e a gratificare di più i figli." 

da " La cronaca di Verona"
20 Ottobre 1994


Perché ho deciso di raccontare storie
Libroforum della biblioteca di Villa Tacchi

Perché scrive e quando ha iniziato a scrivere?

Ad un certo punto della mia vita mi sono guardata attorno e ho sentito che avevo qualcosa da dire e così ho cominciato a scrivere delle storie. Non si può spiegare come si comincia, è una  cosa strana. Di colpo uno si siede lì a tavolino e dice: oggi voglio raccontare questa storia. Non si pensa neanche a diventare scrittori, si pensa solo a raccontare, anche se dopo quel che si è scritto si mette nel cassetto. Si comincia così e poi si va avanti. Si parte a scrivere con entusiasmo anche se non sono tutte rose e fiori e ci sono dei momenti di crisi.
Una storia ci mette alcuni mesi prima di concretizzarsi. Quando mi viene un' idea anche piccola la scrivo su un foglio e la metto nel cassetto; ho un cassetto pieno di fogli con idee volanti.Poi la mente non ci pensa più, ma intanto qualcosa qua e là viene fuori e così la scrittura è più facile.
Così sono nati i miei libri Chi ha incendiato la biblioteca?, un racconto giallo ambientato tra libri e scaffali, e La biblioteca galattica , frutto del mio incontro col computer.

Pensa che in futuro la sua " biblioteca galattica" potrà diventare realtà?

A me piace il libro tradizionale da sfogliare pezzo per pezzo, mi piace girare le pagine, 
mi piace l'odore della carta, però bisogna arrendersi al progresso.
Io mi arrendo al progresso, ma se dovessi scegliere sceglierei il libro tradizionale.

Perché scrive per bambini?

Perché mi piacciono le storie a lieto fine e di solito le storie per bambini non finiscono mai male, perché i cattivi vengono sempre castigati.
Ogni storia scritta per bambini deve avere un pizzico di magia. Ci devono essere degli elementi magici, perché a un bambino interessa un libro soprattutto quando parla di cose che nella vita di tutti i giorni non succedono. Un libro è anche un modo per fantasticare per vivere cose che nella realtà non accadono.

da " La voce dei Berici" 26 Maggio 1991


Intervista-tipo per Tesi di Laurea
‘Dalle pagine alla piazza: l’incontro tra autore e lettore fuori dal libro’
di Consuelo Battistelli, Mantova

Domande:

1)     Cosa significa per uno scrittore mettersi in piazza?
2)
     Mitizzazione dell’autore o volgarizzazione della letteratura?
3)
     Pensi che incontrare l’autore di un libro che si è amato aggiunga qualcosa alla lettura?
4)
     O piuttosto può risultare deludente?

5)     Secondo te c’è differenza tra essere scelti nello scaffale della libreria o invece dopo aver
        parlato da un palco?
6)     E’ indispensabile inserire il ruolo dello scrittore in un sistema di produzione?
7)     L’autore cioè deve diventare parte integrante della promozione del libro?

Risponde: Anna Lavatelli

Innanzitutto, va tenuto conto che parlo come scrittrice per bambini. Con questo voglio sottolineare subito che nel mio lavoro trovo implicito  un coinvolgimento in prima persona sul piano pratico: non posso occuparmi  solo di fare letteratura (per l’infanzia) ma devo attivarmi affinché che i bambini scoprano il piacere di leggere. Dunque l’incontro tra autore e lettore fuori dal libro non può non interessarmi profondamente, anche per ragioni di tipo pedagogico.
 

1.

A me piace il contatto con le persone, mi piace leggere ad alta voce un racconto, mi piace animare la lettura. Mettermi in piazza significa soprattutto pensare come rendere più interessante l’incontro, inventarmi ogni volta una piccola sorpresa da proporre a chi mi ascolta per catturare la sua attenzione, per renderlo partecipe dell’evento e, possibilmente, per fargli passare un’ora in piacevole compagnia con me e con le mie storie.
 

2.

I bambini, per fortuna, non mitizzano lo scrittore. E’ più facile che mitizzino un personaggio di un libro ( Harry Potter), o una collana (I Piccoli Brividi, Stilton, ecc.). Il rischio per noi è piuttosto la spettacolarizzazione improduttiva.  Mi spiego: si fa un bell’incontro, tutti si divertono come matti, ma poi nessuno compra libri, né inizia un percorso di letture, a scuola o  in biblioteca. La cosa muore lì, e l’evento è stato dunque un vero fiasco, sul piano della promozione della  lettura.
 

3-4.

  A differenza dello scrittore per adulti, credo che allo scrittore per ragazzi sia richiesta una buona capacità di intrattenimento durante gli incontri. Perché è questo che conta, prima di tutto, nel giudizio di un bambino. Solo un adulto-forte-lettore  può accettare che uno scrittore amatissimo sia poco attrattivo (nel tono di voce, nel modo di fare…)  anche quando dice cose molto interessanti e profonde. Un bambino no. Non so quindi se un incontro possa avere effetti retroattivi di carattere cognitivo (es. servire a cogliere in profondità  il senso di un racconto), certo ne ha nello stabilire un legame affettivo con l’autore del libro che si ama. La delusione viene quindi dalla noia che l’incontro può produrre: ecco perché bisogna prepararlo bene, da questo punto di vista non è mai abbastanza presa sul serio la fase di programmazione, dove l’autore collabora con i bibliotecari (e/o gli insegnanti) per progettare un percorso di letture e di attività che creino attesa e aspettative intorno all’evento.
 

5.

Può darsi che chi sceglie dallo scaffale faccia una scelta più ponderata e chi sceglie dopo un incontro con l’autore obbedisca invece ad una spinta emotiva. Questa però è la mia risposta di lettrice. Mi mancano i riscontri per fare valutazioni di tipo generale.
 

6.

Non  in modo sistematico. Lo scrittore fa lo scrittore e  ogni tanto anche il promotore dei suoi libri. Il tipo di mercato che ci troviamo di fronte è molto peculiare: il lettore è un consumatore sui generis e il libro è una merce molto delicata, questo non bisogna mai dimenticarlo. Preciso meglio: ritengo perfettamente normale che chi dedica il proprio tempo ai libri (editori, scrittori, librai) intenda farne  una fonte di guadagno. Ma se l’autore entra, per così dire, fino in fondo  nel meccanismo produttivo, credo che questo non avvenga senza un tradimento profondo della sua stessa vocazione alla scrittura. Basta guardarsi intorno e considerare certe operazioni di marketing  in cui lo scrittore (per bambini e per adulti)  e/o  i personaggi da lui creati diventano veri e propri prodotti di consumo (con gadget, pubblicità, etc…). Questo non aiuta a crescere, né i lettori, né la letteratura, né la cultura generale di un paese, in quanto si tratta di  fenomeni che per lo più sottraggono fette di mercato agli altri titoli, anziché aggiungersi ad essi. Ma non si può certo  tornare alla letteratura elitaria, che è altrettanto sbagliata: bisogna piuttosto formare lettori più attenti e consapevoli, e creare più attenzione critica molto più agguerrita – da parte degli utenti -  intorno all’oggetto libro.


 

| Vi racconto qualcosa di me... | I miei libri... | Premi e riconoscimenti... |
| Giocando con me... | Notizie in pillole... | Home Page |