PREMIO "STORIA DI NATALE" EDIZIONE 2005

La giuria del premio “Storia di Natale”, il premio promosso da Interlinea edizioni, dalla Fondazione Marazza di Borgomanero e dal nostro portale, ha diffuso in questi giorni le proprie decisioni: per l’edizione 2005 il primo premio (che consisteva nella pubblicazione nella collana "Le Rane piccole" non verrà assegnato.
Si è deciso invece di assegnare regolarmente il secondo e il terzo premio.


La giuria ha invece segnalato come particolarmente meritevoli i testi di
Luigi Ballerini (Il viandante e la sentinella) secondo
classificato e di
Annalisa Ferrari (Un ingombrante Natale) terzo classificato.

secondo classificato
IL VIANDANTE E LA SENTINELLA

di Luigi Ballerini

"Hei, si vede niente da lassù?" sento chiedermi dal Viandante mentre si riposa sulla panchina di legno a ponte sopra l'acqua luccicante. Dice a me, ma intanto guarda fisso le Ochette colorate che galleggiano lungo il fiume di carta argentata.
Per il solo fatto che mi hanno messo in alto e tengo il braccio destro sollevato con la mano tesa sulla fronte appena sopra gli occhi, insomma per il solo fatto che sono la Vedetta tutti credono che io sia capace di vedere anche l'impossibile. Invece la montagna su cui mi trovo è lontanissima dalla capanna e sulla visuale, proprio davanti alla culla, sono state piazzate due palme gigantesche e sproporzionate. I loro rami, verdi e lucidi, sono ricoperti da un sottile velo di neve sintetica e brillano sotto la luce del lampadario della sala. Che strano, della neve sulle palme... ma sono stati i bambini a volerla. Quindi, va bene cosi.
"No, mi spiace, non si vede proprio niente. Vuoi che provi a chiedere al Pastore più avanti? Lui potrebbe sapere qualcosa di più..."
"Grazie, ma non ti preoccupare. Magari adesso mi riposo un po'. Vedremo più tardi se c'è qualche novità...".
La risposta non fa in tempo ad arrivarmi che il Viandante è già crollato addormentato. Cos'altro potrebbe fare, poveretto, standosene sdraiato tutto il tempo sulla sua panchina? Dormire e guardare le oche, guardare le oche e dormire.
Io invece non posso lamentarmi: sono decisamente più fortunato, da qui si gode uno spettacolo meraviglioso. La montagna su cui sto in piedi è fatta con una pentolona rovesciata e ricoperta di abbondante carta roccia, per terra ci sono tanti sassolini bianchi e un po' di cotone sopra gli alberi a fare la neve. Sembra una montagna vera, è .venuta proprio bene. Decisamente meglio dell’anno scorso quando come base avevamo usato il pentolino per bollire il latte: era talmente stretto che non c'era abbastanza posto per tutte le statuine. Cosi finiva che una ad una cadevamo per terra come tessere del domino!
Noi personaggi del presepe ci conosciamo quasi tutti; in fin dei conti trascorriamo un anno intero vicini vicini rinchiusi dentro lo stesso scatolone nel buio della cantina: quasi inevitabile diventare familiari l'un l'altro nell'attesa di un nuovo dicembre.
Fra tutte le statuine io sono una delle più vecchie, ancora in terracotta e dipinta a mano. Come me ce ne sono altre dieci. Ogni anno ne arrivano di nuove, di plastica; loro se ne vantano un sacco perchè sostengono di essere indistruttibili e moderne, ma noi della vecchia guardia le giudichiamo con un po' di compassione: non sono certo belle con quelle mani da papera e quei colori sbavati e grossolani. Alcune hanno il blu degli occhi in mezzo alla faccia. Che pena!
Quest'anno in cima alla montagna a farmi compagnia ci sono due Centurioni romani vestiti di panni dorati e lucidi; dovrebbero essere delle mie dimensioni, ma i muscoloni che mostrano sotto la corazza li rendono troppo grandi al mio confronto. Hanno fatto male a mettermeli così vicini, sembrano davvero sproporzionati.
Nonostante sia ormai la vigilia di Natale non è nata una gran confidenza fra noi; non abbiamo avuto molte occasioni di conoscerci bene, loro parlano poco e sono cosi riservati con me... Invece ricordo che lo scorso Natale stavano nel bel mezzo della pianura insieme ai pastori, vicini alla Signorina che vende le galline e le uova. Io li vedevo intrattenersi in continuazione con la bella Signorina dal fazzoletto rosso piegato a triangolo sulla testa. fino al giorno dell'Epifania, quando ci hanno riposti nello scatolone, non hanno smesso un attimo di chiacchierare! Mi sa che non devono essere molto contenti di stare qui in alto in mezzo alla neve, probabilmente avrebbero preferito fare i galanti con la loro vecchia conoscenza. Eppure dovrebbero saperlo che il destino di noi statuine è stare dove ci mettono.
Un terzo Centurione, loro collega, è purtroppo steso per terra: mi fa tenerezza grande e grosso com'è, ma noi non possiamo proprio aiutarlo a tirarsi su.
Le statuine del presepe pensano e, quando nessuno le guarda, parlano pure, ma non riescono a muoversi: se desiderano andare da qualche parte possono solamente aspettare che qualcuno le sposti.
Per quanto riguarda il Centurione dovranno pensarci i bambini di casa a rialzarlo, se ne avranno voglia.
È stato Pepe a rovesciarlo, quando è passato poco fa: io sono qui ancora tutto agitato perchè l'ho scampata per un pelo. Sissignori, alla lettera: per un pelo...di gatto!
Pepe è un gattone giallo, ciccio e indolente che vaga lento per casa spostando con pesantezza le sue zampotte tigrate. Ha solo tre attività nella sua giornata: mangiare, dormire e fare cacca e pipi. Nel periodo di Natale però improvvisamente ne aggiunge una quarta: saltare sul tavolo dove è allestito il presepe, intrufolarsi fra le casette di cartone e sughero e divertirsi a buttare giù noi statuine con le sciabolate della sua coda in perenne movimento. Di solito compie queste prodezze di notte, quando sa che non c'è nessuno in giro che possa sgridarlo e riesce ad agire indisturbato. Qualche giorno fa ha addirittura fatto cadere a terra il Venditore di caldarroste che si è rotto il braccio destro. Chiara, la piccola di casa, ha provato a rimetterlo a posto, ma lo ha riattaccato storto, cosi lui adesso continua a sorridere, ma sotto sotto è triste perché secondo lui non riuscirà più a vendere le castagne come prima. Comunque non è lui quello messo peggio nel presepe: ci sono cinque o sei pecorelle più vecchie di me che non hanno le gambe ‑ le hanno perse quando nell'ultimo trasloco è scivolato a terra il nostro scatolone! ‑ e a un Re Magio, Baldassarre, si è staccata la testa. Anche quest'ultimo disastro è colpa di Pepe!
"Hei, è già nato il Bambinello?", continua a ripetere il Viandante sulla panchina. Il suo costruttore lo ha modellato con la testa rivolta verso il basso e lui se ne fa un gran cruccio perchè desidererebbe tanto vedere quel che succede. Meno male che siamo buoni amici e visto che io sono una Vedetta posso guardarmi intorno anche per lui.
"Niente, ancora niente. Ma ci sono quelle stupide palme a coprirmi la visuale! Però non oredi che se fosse già nato la notizia ci sarebbe arrivata dai Pastori o da quelli più vicino alla capanna?"
Essere vicino alla capanna... come mi piacerebbe!
Lo desidero da sempre, ma col fatto che sono una Vedetta e sono pure una statuina di piccole dimensioni mi mettono sempre in posti lontanissimi. Di solito sulla cima delle montagne. Beati il Bue, I'Asino e i Pastorelli che sono prossimi alla culla e ogni anno possono assistere alla santa nascita. Invidio quasi le Pecore senza gambe che vengono messe davanti alla capanna, ai lati della strada percorsa dai Magi...
"Aspetta Viandante, provo a fare un grido all'amico vicino allo stagno... Pescatore, Pescatore raccontami: che succede là in fondo? C'è qualche movimento?".
Il ragazzo che non stacca un attimo gli occhi dalla sua lenza in fondo alla quale luccica una Trota di gesso ci assicura che è ancora tutto tranquillo. D'altronde non è comparsa neanche la stella cometa...
Nella sala intanto i bambini fanno una gran confusione; saltano sul divano eccitati per i regali che hanno chiesto da tempo con una letterina ben scritta e non ne vogliono sapere di andare a letto. Hanno un bel da fare mamma e papà a rincorrerli col pigiama e lo spazzolino da denti! Fortuna che questa sera è un gioco anche per loro, fingono di perdere la pazienza perché tanto sanno che si può star svegli un po' di più; è il bello delle vacanze, d'altronde.
Alla fine arriva davvero il momento in cui tutti si decidono ad andare a nanna e di colpo vengono spente le luci di casa; restano solo le lucine intermittenti del grande abete addobbato davanti alla libreria.
Buio, giallo‑azzurro‑rosso‑verde‑bianco, buio, giallo‑azzurro‑rosso‑verde‑bianco~ buio... buio e Pepe!
Allarme! Allarme, Pepe!
Faccio il mio dovere di Vedetta urlando a più non posso: gli altri sono ancora tranquilli perché non si sono ancora accorti di nulla, sta a me avvisare del pericolo.
Lo vedo passare sornione sotto il tavolo del presepe, quatto quatto con passi felpati. I suoi occhi sono come i fari arancioni delle luci di emergenza delle macchine.
Oh no! Si accuccia per benino, piega le zampe davanti, solleva le orecchie, tende la coda e...via' Un bel salto e in un attimo sconquassa il fiume, lo stagno, il gregge con le Pecore zoppe e riesce a rovesciare persino una palma che frana sulla casetta di sughero dipinta di verde. Meno male che non c':era dentro nessuno.
A me che sono in alto finora non è ancora successo niente. Finora...
Ma ecco che lo vedo dirigersi verso la montagna, minaccioso col suo muso peloso: è davvero spaventevole, adesso è cosi vicino che i suoi baffi duri mi graffiano il braccio. All'improvviso tira fuori la lingua rasposa e mi schiaffa una loccata bella e buona. Un po' per il colpo un po' per l'emozione perdo l'equilibrio e finisco a terra, accanto al Centurione romano che dorme ignaro e non si è accorto di nulla.
A terra, che disonore per una Sentinella!
Ora è davvero troppo; raccolgo tutto il coraggio del mio animo e grido: "Pepe! Pepe non mollarmi cosi!".
Il gattaccio sembra sentirmi, fa vibrare nervoso i baffoni come per annusare l'aria e rivolge il naso umido verso di me che sono rimasto a pancia in su a guardare il soffitto. "Sono io, si la Sentinella! Incredibile, riesci a sentirmi! Non avrei mai creduto che fosse possibile"
Pepe muove la testa in su e in giù, come per dire: certo che ti sento, secondo te non dovrei?
All'improvviso mi gira per la testa un'idea impensabile e oso fare una richiesta impossibile.
"Ah, ho capito: mi capisci, ma non puoi parlare... Non importa, I'importante è che ci intendiamo! Ascolta, tu rappresenti la mia grande occasione: per una notte, una sola, vorrei tanto stare vicino alla capanna, vedere Maria e Giuseppe mentre aspettano il Bambino. Portami là, tu ce la puoi fare. Lo so, domattina appena quelli di casa mi vedranno fuori posto mi rimetteranno subito sulla montagna, ma non sarà come se non fosse mai accaduto. Ti prego!"
Pepe capisce alla perfezione, sembra pensarci un po' su, poi mi agguanta con delicatezza fra le labbra e prova a spostarmi.
"Aspetta un momento. Ce la fai a prendere anche lui?", gli chiedo riferendomi al Viandante sdraiato sulla sua panchina. Non posso dimenticarlo in quest'avventura.
"Anche lui non ha mi visto la capanna da vicino...", continuo ;con un tono di supplica.
Il gatto si lascia facilmente intenerire e, abilissimo, prende in bocca pure il mio amico; fortuna che è una statuina di plastica e non di terracotta altrimenti peserebbe troppo anche per un gattone come lui.
Stranamente Pepe sta molto attento e fa meno disastri del solito mentre si intrufola nella pianura in mezzo a statuine che lo guardano passare terrorizzate dalla sua mole.
Una volta arrivato nei pressi della capanna deposita piano entrambi sul muschio morbido. Chi avrebbe mai creduto che quel terremoto di un animale sapesse essere cosi gentile?
"Grazie Pepe, sei stato grande. Ma adesso scendi giù sennò scombussoli tutto, e questa notte proprio no, tutto deve essere al suo posto. Adesso occorre solo aspettare".
Nel posarci a terra la panchina del Viandante si è rovesciata su un lato; accade cosi che il mio amico, per la prima volta, riesce a guardare dritto davanti a sè. Io, invece, mi trovo di nuovo sdraiato a pancia in su e non vedo nulla di interessante, tranne il soffitto bianco con gli stucchi di gesso e una piccolissima ragnatela grigia che corre disinvolta tra i bracci del lampadario. Un pochino me ne dispiaccio, ma in fondo al cuore mi sento contento lo stesso: sono dove desideravo essere.
A questo punto sento il Viandante che mi parla, la sua voce è tranquilla e affettuosa.
"Non ti preoccupare Sentinella se non riesci più a vedere, ci penserò io: per una volta i miei‑occhi saranno i tuoi. Adesso dormi. Approfittane, tu che sei sempre in piedi. Finalmente concediti un giaciglio morbido su cui riposare".
Accetto con piacere l'invito e provo a a dormire, è tanto che non lo faccio; effettivamente mi sento addosso un grande stanchezza. Forse sarà stato anche il viaggio per arrivare sin qui...
Infatti mi addormento in un battibaleno.
Sprofondo per non so quanto tempo in un bel sonno tranquillo fino a che, all'improvviso, una luce intensissima mi strappa dal mondo dei sogni. C'è una stella enorme sopra la capanna, con una grande scia luminosa che rischiara l'intera sala, fino in fondo al corridoio.
"Sveglia Sentinella. è arrivato, è arrivato!".
Sgrano bene gli occhi e provo a interpretare il frastuono che si alza intorno a me: le Pecore senza gambe belano all'unisono, le Oche starnazzano dentro lo stagno, anche le palme sembrano vibrare e frusciare sospinte da un vento invisibile.
“È  nato! È nato!".
La capanna si anima di festa, il Bue muggisce forte e l'Asino gli fa da controcoro. Maria e Giuseppe ridono insieme.
“È  nato! È nato!", gridano tutti dentro il presepe: persino le Guardie romane agli estremi avamposti si
uniscono al coro. È un tripudio di canti ovunque.
Di colpo però scende un silenzio strano, tutto tace di nuovo, come se stesse accadendo un evento straordinario. Ma può esistere un evento più straordinario di quello che è appena successo?
“Viandante, che c'è`?''`, sussurro piano, al tempo stesso incuriosito e intimorito dalla situazione
 Nessuno mi risponde.
"Viandante, ti scongiuro: raccontami cosa vedi"
Anche questa volta non sento nessuna risposta, sembrano tutti spariti.
Non mi piace questa situazione, non mi piace affatto. Io che ho sempre tenuto tutto sotto controllo, proprio adesso dovevo trovarmi all'oscuro di quello che succede?
Non passa molto, però, che mi accorgo di una presenza vicina; ci deve essere qualcuno nei paraggi, anche se non so ancora precisamente chi e dove sia.
Quando mi è proprio sopra, finalmente lo vedo: è il Bambino! Non è come me lo aspettavo, povero, gracile e mezzo nudo. È un bambino bellissimo, un vero principe, vestito di abiti regali di oro e seta. Il suo sorriso rasserena l'anima e fa cessare in me ogni timore.
Ecco che allunga piano la mano verso me, come se intendesse aiutarmi ad alzarmi. Io lo assecondo e in un istante mi ritrovo miracolosamente in piedi. Ma non basta: mi fa cenno di seguirlo e io inizio a camminare dietro lui. Con naturalezza.
Non si era mai vista camminare una statuina, fino ad ora.
Sono certo che se avessi un cuore vero dentro questo mio netto di terracotta batterebbe all’impazzata!
Eccoci dentro la capanna. Qui mi invita ad andare in mezzo al Bue e l'Asinello, che c guardano stupiti coi loro occhioni umidi. Il Bue ha persino smesso di ruminare, tanto stupefatto.
È  a questo punto che sento la voce del Bambino.
"Era questo che desideravi, vero? Starmi vicino. Vedi, desiderarlo significa già esserlo. Non c'è bisogno di altro. Resta con me questa notte a farmi compagnia. Sentinella, vuoi tu vegliare sul mio riposo?".
"Che domanda, Bambino caro! ‑ mi scappa di dire ‑ Certo che si che lo voglio, è la cosa che so far meglio!".
Mi metto giusto dietro la culla, ritto in piedi, nella mia posizione preferita: braccio destro sollevato e mano tesa sulla fronte a scrutare l'orizzonte senza perdere alcun dettaglio.
L'universo è tornato tranquillo. Anche Pepe sonnecchia acciambellato sulla poltrona di velluto rosso, scommetto che sta sognando una ciotola stracolma di croccantini ai gamberetti e carote.
"Riposa bene Gesù Bambino, ci sono io con te questa notte. Non hai nulla da temere", sussurro con fierezza al piccolo che ha già gli occhietti chiusi.
Adesso dormono davvero tutti, le Oche, le Pecore senza gambe, la Signora delle uova, il Venditore di caldarroste col braccio storto, il Pescatore e la sua Trota.
Restiamo svegli solo in due, io e il mio amico Viandante. Coi cuori gonfi di gratitudine ci guardiamo felici negli occhi per la prima volta.
È deciso: attenderemo insieme l'alba di questo nuovo, straordinario, Natale.


 

terzo classificato
UN INGOMBRANTE NATALE
di Annalisa Ferrari
 

Sta venendo questo "Natale".
Non è un signore.
Natale, qui, è una festa. Tutti dovrebbero essere felici, ma io no. La maestra mi ha detto di raccontare che cosa provo, nella profondità del cuore. Poi mi ha raccomandato di non vagabondare nelle mie parole, come sempre faccio. Ma pure, per dire che cosa provo nella profondità del mio cuore, devo prima spiegare con diligenza come sono arrivata qui.
Giustappunto, io credo di dover partire dall'inizio di questa storia, che poi finisce a Natale.
lo mi chiamo Varsa. Il mio problema più grosso è che penso in un modo e parlo in un altro. Non sono matta. È solo che sono venuta qui dalla Tunisia, alquanti mesi fa, diciamo aprile, e la mamma ha detto che dovevo andare a scuola subito, per non perdere tempo. Invece il tempo l'ho perso lo stesso, e due volte: uno, perché sono stata seduta in un banco (piccolo) per due mesi, e invece potevo giocare a casa mia con il cane, ma niente da fare; due, perché tanto sono risultata ugualmente bocciata. Una del}e maestre, alla fine della scuola, mi ha fatto alzare dal mio banco e mi ha chiamato nel corridoio e mi ha parlato e parlato, e io non ci ho capito quasi niente. Una cosa ho capito: che io sono brava, bravissima, e ho imparato alquante cose in quelle scarse settimane che ero qui in Italia, e allora era meglio se stavo in quinta classe, dove ero già. Rimanere in quinta classe invece di dirigersi alla scuola dei più grandi qui si dice giustappunto "bocciata". Io non volevo, perché Martina, Alessia, e anche Eva, andavano alla scuola di fronte, quella dei grandi, che chiamano La Media, e questo si dice "promosse". Io ero brava, diceva quella maestra, ma non abbastanza, e rimanevo bocciata. Cosi imparavo meglio l'italiano.
Ho pensato cose: uno, che volevo rimanere con Martina, Alessia, Eva,e anche con Hassan, che fa disperare le maestre ma è intelligente e fa ridere; due, che ero capitata in un paese di matti, dove se una era brava rimaneva bocciata, e se una era cattiva, come Camilla che mi ha detto alquante cose brutte, ecco, lei restava promossa; tre, che volevo afferrare l'aereo e respingermi in Tunisia che è meglio di qui, dove non c'è il mare, e non c'è il monte, e c'è il sole, e basta; quattro: che io l'italiano lo sapevo già benissimo. Nella mia testa. Magari, con un po' di pazienza, lo avrei saputo anche sulla mia bocca.
Ecco, anche se ho vagabondato dal discorso, volevo spiegare che io penso come nella Tunisia, e devo parlare come nel Casalpusterlengo, che è il nome del posto dove sono capitata alquanti mesi fa, e ci devo rimanere, chissà chi lo sa quanto, come dice sempre la maestra della matematica che ho adesso.
Adesso sono in quinta elementare. La mia seconda quinta.
Ho delle maestre nuove, e nemmeno un maestro.
In Tunisia avevo un maestro. Quando Soufien disperava il maestro, il maestro prendeva un pezzo un po' lungo della gomma nera della automobile e lo pestava forte, e lui gridava poco e stava molto molto buono. Me, non mi ha mai picchiato. Io stavo buona da prima. In Tunisia eravamo tantissimi e potevamo a giocare a spintoni. I banchi erano di legno, non come qui, che non si può scriverci sopra niente, altrimenti la signora Teresa, che si chiama Bidella, ti grida e ti crollano le orecchie. Qui i banchi sono lisci lisci, come la faccia della maestra.
In Tunisia c'era la nonna, con la faccia piena di segni. Mi ha insegnato a non guardare le persone negli occhi, solo gli animali si guardano negli occhi. Ma la maestra dice, invece: "Quando parli alle persone le devi guardare negli occhi", e mi ha messo nel banco con Mattia per guardarlo negli occhi, ma lui non si gira mai, come faccio?
Comunque.
Adesso la maestra di italiano dice che devo pensare italiano e parlare italiano. Io dico: si, maestra, ma ragiono che ci vorrebbe un mago.
Però sto imparando, e ogni giorno acquisto una parola nuova e per acquistare guardo sul vocabolario, e poi la scrivo sempre. La maestra di italiano dice che devo scrivere in italiano. Pensare italiano, parlare italiano, scrivere italiano.
Questo è il mio problema più ingombrante.
Il secondo problema alquanto ingombrante è Casalpusterlengo. Non il nome. Il nome è quello e mi sono abituata. Quando nella mia Tunisia dicevo: vado in Casalpusterlengo, tutti ridevano, perciò alla fine io ero contenta di farli ridere. Sul nome, niente da dire. È il posto. Il luogo, insomma. È cosa che mi causa alquante preoccupazioni. La maestra di italiano dice che, se mi turbano i crucci, devo scrivere e forse, potrebbe anche essere, magari, succederebbe che scomparissero. Mah. In ogni modo, ho questo quaderno, e provo a estendere le mie preoccupazioni, che però non hanno l'idea di uscire dalla mia testa e dal mio cuore, per ora, nemmeno adesso che arriverebbe questo Natale.
Cosi, anche se ho vagabondato ancora dal testo, volevo dire che quello che mi sbatte contro e mi abbatte è codesto luogo che ora non ha più nemmeno il sole. Niente mare, niente montagne, e ora più nemmanco il sole. La mamma non dice niente, ma adesso è diventata alquanto nervosa e agitata. Ieri sera ha fatto cadere un bicchiere d'acqua, che è costruito di vetro, si è rotto e acqua dappertutto e vetri uguale. E la mamma ha strillato, in arabo, che era colpa mia, e avevo detto un qualche cosa e lei si era girata e aveva inciampato col braccio nel bicchiere ed era, la colpa, la mia. Cosi, pagamento, non c'è il sole e lei mi affligge con le colpe sue proprie e me lo spiega in arabo, pagamento.
Adesso faccio un allontanamento dai miei ingombranti problemi per spiegare una parola. "Pagamento" lo dice sempre la signora Teresa, detta La Bidella, anche quando non tira fuori i soldi. Allora io ho cortesemente richiesto il perché e il percome, come dice sempre la maestra di inglese. Il percome del "pagamento" era che: quando un individuo o persona o anche un bambino ha una cosa che già si rappresenta piuttosto brutta (come essere lontano da un posto come la Tunisia), e gli accade un'altra cosa piuttosto dispiacente (come essere vicino a un posto senza sole), e in addizione gli capita che gli danno anche la colpa di qualsiasi accaduto che lui non ha accaduto (come rompere un bicchiere che ha rotto un altro), allora la signora Teresa direbbe: "E, pagament!, g'han dai anca la culpa!", che si dice più giustamente: e, pagamento, gli hanno dato anche la colpa. E nel mio proprio caso risulterebbe: non c'è il sole, mi avete portato voi in questo posto, e, pagamento, anche la colpa del bicchiere. Qui finisco l'allontanamento e torno al problema che adesso si rappresenta il più enorme di tutti gli altri.
Esso si chiama Natale.
Io non capisco, e qui c'è il bambino che si chiama Mattia, quello del mio banco, che dice che sono scema se non capisco.
Mattia è molto molto cattivo. Ma anche se è molto cattivo io vedo che nella scuola è bravo. Questo significa che non sono cosi scema e capisco le cose nascoste.
Mattia mi chiama scimmia. Mi chiama scimmia quando la maestra non lo sente. La mamma un giorno mi ha detto di rimandargli che lui le scimmie non sa nemmeno come sono fatte, che non ne ha nemmeno mai vista una, di stare zitto, ignorante. E lui mi ha risposto che una l'aveva vista.
Ero io.
Giustappunto.
Adesso Mattia cerco di non vederlo e non sentirlo, ma è alquanto e piuttosto difficile. Il papà mi ha detto: "Cerca di essere brava, qui si devono fare tanti sacrifici", e io credevo che bisognava sacrificare tanti montoni per poter andare a scuola. Poi ho capito che era una cosa diversa, e fare tanti sacrifici vuol dire che in un paese ricco non si può vivere da poveri, cosi devo fare anch'io i "sacrifici".
Il primo "sacrificio" che ho fatto è la storia del vocabolario, che ho già detto, inutile ripetere, se no la maestra sgrida che sono ripetente. (Tra le parentesi, ho scoperto che questa parola del ripetere vuole anche dire bocciata, e io cosi non imparerò mai l'italiano, credo).
Comunque.
Con il sacrificio del vocabolario, secondo me, ma anche secondo la mamma e il papà, io sto diventando più infinitamente brava di Mattia, che non sa nemmeno cosa vuole dire "giustappunto", e io lo so, e lo uso, per fargli mostrare che sono più brava di lui.
Giustappunto credo di avere ancora vagabondato dal Natale. Ma ora ci torno: io non capisco questa cosa del Natale che si canta, si suona il piffero, e poi si sta tutti a casa da scuola. Cioè, stare a casa da scuola ho capito, e meno male un po' di respiro. Ma il resto faccio alquanto fatica.
La prima volta che ho sentito parlare dei canti e del piffero, che qui tutti sanno come si suona, I'ho detto alla mamma, di comprarmelo.
La mamma è venuta a scuola, insieme a Najiad.
Najiad è una signora alquanto grassetta che sta in questa Italia da tanti, tanti anni, e parla italiano meglio di me e della mamma, anche se meglio della mamma è facile, perché la mamma non lo parla niente.
Infatti, questo Casalpusterlengo non le piace e vuole tornare subito in Tunisia, e quindi non c'è la fatica di parlare italiano, per lei. Per me si, e questo è un grande mistero.
Comunque.
Najiad ha parlato al posto della mamma. Le maestre, ma soprattutto un maestro che era venuto solo per le canzoni, hanno saputo che è meglio che io non suoni e che non canti.
"Capisco, capisco", ha detto il maestro della musica, che si chiama Dario, ha i capelli un po' grigi e ha fatto una faccia lunga e ha guardato le altre maestre. E le altre maestre hanno alzato gli occhi e guardato il sopra, e dato che il sopra (che si chiama il Soffitto) era il solito di tutti i giorni, bianco e un po' sporco e con una ragnatela nell'angolo, ho ben capito che loro parlavano con il silenzio degli occhi e dicevano a Dario: "Eh, maestro Dario, che cosa vuoi rimediare. Lascia stare, lo sai come vanno codeste faccende."
Col piffero, ho pensato io.
E qui mi va di fare un'altra trasgressione, in quanto questa cosa del piffero è una parola che dice sempre Mattia e vuol dire: no, che non lo sai come vanno. Oppure: no, che questa cosa non la faccio. Oppure: un bel niente.
All'inizio io pensavo che il niente, il niente come si fa a vedere se è bello o brutto?, ma qui si dice cosi, e lo dico anch'io, quando voglio dire di no. Un bel niente. Oppure dico: col piffero. Cosi imparo l'italiano. Ma siccome la maestra Antonella continua a dirmi: stai sulla strada giusta, stai sulla strada giusta, devo tornare alla strada giusta, ed ecco che rientro al Natale.
Anche se prima devo dire che sto facendo alquanta fatica a raccontare questa storia.
Allora: resta il fatto che questo Natale è una festa.
E va bene.
Addiziona il fatto che noi questa festa non la facciamo.
E qui, anche se vagabondo di nuovo, lo devo dire, che noi, io la mamma e il papà, siamo musulmani, e anche Najiad è musulmana, benché lei metta i pantaloni e certe volte va in giro persino senza velo.
Non adesso che fa freddo, ma quando fa caldo, si, spergiuro che l'ho vista senza niente in testa.
Essere musulmani, nella mia Tunisia, voleva dire che ero come gli altri, e io nemmanco mi accorgevo che essere musulmani voleva dire
qualcosa. Ma qui in Casalpusterlengo è diverso. Qui vuol dire qualcosa.
Qualcosa di diverso, che è ancora più brutto.
Allora un giorno sono andata a casa, e ho domandato alla mamma che cosa siamo. Lei risponde: siamo musulmani. E questo, ho capito. Allora chiedo alla mamma se è perché sono musulmana che io mi devo vestire in modo stravagante. Lei risponde: non è stravagante, è giusto.
Allora spiegò: Camilla dice sempre che io sono vestita stramba, con tutto questo velo intorno e addosso, e la gonna lunga fino in terra che nemmeno ho potuto fare la gara del lancio della pallina o della corsa.
La mamma dice che non è vero. E mi guarda in modo stravagante, molto, e un po' anche arrabbiato, e io capisco che è meglio se finisce qui.
Poi, è arrivato il giorno che il Presidente della scuola è venuto in classe e ha spiegato la festa di Natale, e il cuore e il Pacinterra e i canti col piffero. La maestra Piera Angela, della matematica, che ha due nomi ma è una sola, per fortuna, ha fatto cosi, tac, con la testa, e il Presidente ha voltato gli occhi e mi ha visto e ha fatto un piccolo salto, e si è messo a battere il piede, e ha detto a Piera Angela: "Qualche problema?"
lo non ho sentito che cosa la maestra spiegava, perché parlava con parole alquanto sussurranti, ma siccome non sono scema, anche se Mattia dice di si, ho compreso in me che ero io il problema. Come quella volta con il maestro Dario e le altre maestre che hanno voltato gli occhi al soffitto, se vi ricordate. Tutti a voltare gli occhi da qualche parte, con me.
A casa, ho gentilmente chiesto alla mamma se non potevamo cambiare il musulmano in qualcosa di altro. E lei mi ha quasi trapassata con lo sguardo che sembrava una spada, come ci aveva letto la maestra Antonella da un libro di draghi, e mi ha poco gentilmente avvisato che la nostra è la vera religione.
Allora io, che certe volte sono davvero un po' scema, e questa volta devo offrire ragione a Mattia, sono andata avanti e dicevo che i miei compagni di classe dicono che la loro è la vera religione, e cosi comela mettiamo?
Allora la mamma ha deciso che la mettevamo che andavo a letto senza mangiare, e meglio che stavo silenziosa con il papà, perché nel caso esprimevo la domanda al papà, erano davvero guai.
Insomma, anche gironzolando tra le maestre, i pifferi, il sole, e Mattia, e persino il Presidente della scuola, ecco, credo che adesso si capisca che questo Natale per me è un veramente ingombrante problema.
Molto più enorme di scrivere nell'italiano della maestra, perché mi racconto chiaramente, mi sembra, e uso belle parole del vocabolario, più di Mattia.
Molto più enorme del sole che non c'è più, e al posto suo c'è questa La Nebbia che sembra di essere in un catino pieno di cotone grigio e non si vede dopo il vostro naso. Cioè, si vede, ma poco dopo non si vede più e allora, per esagerare, si dice del naso. Molto più enorme della Camilla che, quando esce dalla scuola dei grandi e mi vede che esco dalla scuola dei piccoli, mi fa delle boccacce con la lingua e strabuzza i due occhi di qua e di là.
Molto più enorme delle tabelline che la Piera Angela, due in una, vuole studiate a memoria, e, tic tuc tac, sapere di corsa che cosa fa sei per nove (sessantatrè, comunque). Molto enorme, soprattutto da quando si è addizionata una cosa grave.
Un'altra.
Non bastavano i vestiti lunghi, che non suono il piffero, che non posso fare la corsa e il lancio della pallina, che nella mensa mangio certe volte altre cose, che arriva il Natale e io non posso cambiare l'lslam con il Tuscendidallestelle, che ancora non sono completamente brava nell'italiano (anche se imparo le parole nuove ogni benedetto giorno). Non bastavano. Pagamento, è arrivato lo spettacolino.
È una parola che vuole dire che i canti, e il piffero, e anche un ballo, si devono fare davanti a tutti i genitori che arrivano li, un giorno, nella stanza più grande che abbiamo nella scuola, con le maestre e il Presidente che guardano e sorridono e fanno di si con la testa, e qualche mamma piange e qualche papà ride e fa anche lui di si con la testa.
Io queste cose non le potevo sapere ma la Camilla me le ha dette.
Giustappunto mi ha aspettato fuori dalla scuola, e mentre andavo al pulmino giallo me le ha raccontate. Proprio mentre pensavo che forse la Camilla era una simpatica amica, lei mi ha guardato dritto negli occhi e mi ha detto: "Ti posso fare una domanda?" e non ho fatto in tempo a dire di si, o magari di no, che lei continuava: "Ma tu non fai niente, vero? E la tua mamma non viene, vero? E nemmeno il tuo papà, vero?"
Che poi alla fine sono tre domande, ma io non credo che lei volesse nemmanco una risposta, perché si è messa a ridere ed è andata subito via, con le sue amiche della Media.
Qui mi sta venendo un po' da sospirare, e meno male che nelle pagine di scrittura non ci stanno anche i sospiri, altrimenti stiamo freschi! Se posso, vorrei spiegare che non è che stiamo freschi perché è inverno e inverno qui vuol dire freddo, ma è una cosa che vuole significare che sarebbe un bel guaio, se si sentissero anche tutti i miei sospiri che ci sto mettendo dentro a questa storia! Si dice, giustappunto: stiamo freschi! Oppure anche: stiamo fritti!, e si capisce che siamo in un paese strano che per dire la stessa cosa ti fa stare o fresco o caldo fritto. Ma insomma!
La maestra Antonella dice che devo solo imparare! Non devo farmi venire anche le preoccupazioni per il fresco e il fritto, altrimenti stiamo freschi! E io imparo! Adesso, faccio l'esempio, sto imparando il punto esclamativo, e la maestra dice che l'ho imparato bene! Ma stare anche un po' calma, col punto esclamativo! E magari parlare del Natale, e smetterla di viaggiare in altre cose da raccontare! Magari le riporto un'altra volta! E io obbedisco, come quel signore con la barba e un cappellino strano e una mantella colorata addosso,.che mi ha fatto vedere la maestra Antonella. Ha preso il libro e mi ha fatto vedere questo Giuseppe, che ha detto "obbedisco" al suo Re, e chissà se è vero. La maestra ha spiegato che anche noi dobbiarno obbedire, per quanto io, di Re, a scuola non ne vedo. Magari a un Re obbedisco meglio. E poi voglio dire un'altra cosa: se uno guarda bene, se uno attentamente guarda Giuseppe, magari, si, ha anche detto "obbedisco", ma se uno va mooolto vicino a questa foto di pagina 63, e sta li a fissarla, a fissarla, ecco che dopo si vede che in fondo agli occhi questo Giuseppe era agitato, come me, e anche birbante, come Mattia, e non lo so se davvero lui voleva obbedire. Ma insomma. Se lo ha fatto lui, allora forse posso farlo anch'io, e tornare a parlare di questo Natale e dello spettacolino.
Le maestre hanno deciso di preparare tutto, per intanto. A me hanno detto di aspettare, che poi si sistemavano le cose. Io non so proprio rappresentarmi come sistemare le cose, ma vedo che la maestra Piera Angela ogni tanto mi guarda e poi fa cosi con le sopracciglia e guarda il soffitto e poi ancora me e poi sospira. Non so se in Casalpusterlengo questo vuol dire sistemare le cose. Vedremo.
Intanto imparo le tabelline dalla Piera e le poesie dalla Antonella, e adesso le guardo negli occhi, anche se mi viene un po' male, a pensare che non sono mica delle capre, che si possono guardare negli occhi. Intanto, mi hanno messo a fare gli anelli di carta colorata, uno dentro l'altro. Alla fine sembra una catena, ma non quella della prigione, è una catena tutta colorata, io credo che se in prigione avessero queste catene sarebbero più contenti. Sono contenta io, però, perché la maestra ha fatto vedere le mie catene all'altra classe, da tanto erano venute belle. Quando l'ho detto alla mamma, non era più stravagante ma si è messa a ridere e ha detto tre volte "catena" per imparare l'italiano anche lei. Forse queste catene stanno cominciando a sistemare le cose, ho pensato.
Infatti, dopo le catene c'è stata la sorpresa della poesia. La maestra ci legge una poesia e poi la scrive alla lavagna e noi giù a copiare che sui campi e sulle strade silenziosa e lieve volteggiando, la neve cade. Allora io ho alzato la mano, ho guardato la maestra negli occhi e ho detto che sapevo un'altra poesia, e lei ha detto: "Ah, si?", e Mattia ha sbuffato e ha detto qualcosa sulle scimmie che le poesie non le sanno. Ha parlato piano e ho sentito soltanto io, ma comunque. La maestra mi ha fatto dire la poesia, che parla del mondo vivo che si è svegliato e del venticello che odora di gelsomino, e io l'ho detta in arabo, e poi in italiano, e tutti hanno battuto forte le mani. Erano tutti contenti perché la mia poesia parlava del profumo dei fiori e del flauto che canta dolci canzoni. E qui c'è stata la sorpresa di Mattia, che ha chiesto alla maestra di portare la poesia nello spettacolino. Ma insomma!!! Proprio Mattia!!! e ci metto soltanto tre punti esclamativi da quando la maestra Antonella mi ha spiegato che soltanto tre se ne possono mettere, altrimenti io ne mettevo dieci!
La maestra ha detto che era un'ottima idea. Non quella dei punti esclamativi, intendo, quella della poesia, se io volevo.
lo ho voluto.
Cosi adesso sono qui, che ho finito di recitare la mia poesia, quella che dice: fra lo sciame degli uccelli, e della vostra allegria, ascoltate il mormorio dei ruscelli, aspirate il profumo dei fiori, guardate la valle coperta di nebbia, brucate l 'erba della terra e dei freschi pascoli, ascoltate il mio flauto, che canta dolci canzoni. Si, proprio quella che finisce cosi: torneremo pieni di sogni e di speranze. Lo spettacolino è finito, con le mie gonne lunghe, e le catene colorate, e la mia poesia, nella stanza più grande che abbiamo nella scuola, con le maestre e il Presidente che guardavano e sorridevano e facevano di si con la testa, e la mia mamma piangeva e il mio papà rideva e faceva di si con la testa, pure lui.
lo non lo so se davvero torneremo nella mia Tunisia, ma certo è che adesso siamo qui, pieni di sogni e di speranze, e questo Natale è venuto, ed è stato fantastico. Giustappunto.

 


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